Plastica monouso, ecco perché la soluzione all’italiana non piace alla Ue

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Lo scorso 14 gennaio, con oltre sei mesi di ritardo rispetto alla data fissata dell’Europa (3 luglio), la direttiva europea sulle plastiche monouso (SUP) è entrata in vigore anche in Italia.

Il nostro paese l’ha recepita a modo suo inserendo diverse esenzioni e deroghe, ingiustificate dal punto di vista ambientale, che non sono sfuggite all’Europa. Con un parere circostanziato inviato lo scorso dicembre, la Commissione europea ha, di fatto bocciato, la legge italiana. Le difformità segnalate dal commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton riguardano i rivestimenti in plastica e le esenzioni per i prodotti in plastica biodegradabile e compostabile.

Per l’Italia le stoviglie rivestite sono ancora consentite

Infatti, la definizione di plastica monouso adottata dall’Italia non si applica ai manufatti con un rivestimento in plastica in quantità inferiore al 10% del peso totale del prodotto. Su questa categoria di prodotti l’Europa non ha mai fatto alcuna distinzione.

La seconda obiezione riguarda l’esclusione dal divieto per gli articoli fabbricati in plastica biodegradabile e compostabile inseriti nell’allegato B della SUP, ovvero piatti e posate. Nella lettera la Commissione sottolinea che la legge comunitaria non prevede tali tipi di esenzioni e che nella definizione di “plastica” adottata negli anni scorsi coinvolgendo come d’abitudine gli Stati membri, rientrano anche quelle derivanti da materiali naturali modificati chimicamente (le più comuni plastiche biodegradabili). Partendo da quest’ultima esenzione l’Europa boccia anche il credito d’imposta, gli incentivi previsti dal decreto italiano per tutte quelle aziende che decidono di acquistare materiali e prodotti riutilizzabili o fabbricati in plastica biodegradabile. Anche qui, la bocciatura non riguarda le alternative riutilizzabili bensì le plastiche biodegradabili in quanto emerge il serio rischio di incentivare la sostituzione uno a uno mantenendo inalterata la logica dell’usa e getta e andare in netto contrasto con la gerarchia europea di gestione dei rifiuti che vede nel riuso la via prioritaria da seguire.

Se non cambia la legge, si va verso l’infrazione

Ora che succede per l’Italia? Il parere circostanziato inviato dalla Commissione dava al nostro paese la possibilità di rinviare di sei mesi l’entrata in vigore del provvedimento (marzo 2022). Ipotesi scartata dal nostro governo visto che l’Italia è andata dritta per la sua strada. A questo punto o viene modificata celermente la legge appena entrata in vigore seguendo le indicazioni europee, oppure andiamo incontro a una procedura d’infrazione.

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Tutta questa situazione è veramente imbarazzante per una nazione a cui più volte sono state segnalate le vie da seguire e che, quando è stata chiamata a giustificare le scelte fatte, non è riuscita a dare prove convincenti che ne giustificassero i benefici ambientali. Oltre al possibile danno per le casse pubbliche derivanti da una procedura d’infrazione, i cui tempi sono piuttosto lunghi, c’è da segnalare il concreto rischio di tenere ancorato il nostro sistema industriale a logiche che appartengono al passato e che potrebbero metterlo presto fuori mercato. A ciò si aggiungono le possibili conseguenze ambientali figlie di scelte miopi e poco lungimiranti. Come già avvenuto con l’ennesimo rinvio della plastic tax anche sulle plastiche monouso le scelte del governo italiano confermano la volontà di proseguire con la finzione ecologica.