Caccia all’oro rosso di Mazara del Vallo

GAMBERO

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Ha un prezzo che va dai 50 ai 120 euro al chilo, a seconda della grandezza, del mercato e della stagione. È molto pregiato, ricercato da appassionati, ed è anche straordinariamente buono. Stiamo parlando del gambero rosso di Mazara del Vallo a cui abbiamo dedicato un’inchiesta nel numero di settembre del Salvagente (si può acquistare qui), un crostaceo che vive nelle acque del Mediterraneo, ha una carne soda, un sapore ben definito e un profumo di mare inconfondibile. 

A giudicare dai menu dei ristoranti e dalle richieste di chef e gourmet, quello che viene definito l’oro rosso della Sicilia dovrebbe popolare le acque del Mare Nostrum come le spigole allevate nella laguna di Orbetello. E invece non è così diffuso. Viene pescato lontano dalle coste italiane, vicino a quelle libiche, tunisine, turche e cipriote, con reti a strascico e su fondali fangosi, a una profondità di 7-800 metri, da una sparuta flotta di esperti pescherecci mazaresi che negli ultimi anni sono al centro di continui attacchi da parte delle guardie costiere e delle milizie dei paesi rivieraschi nostri dirimpettai.  

“Proprio per questo, perché non è disponibile in quantità tali da rispondere alle richieste del mercato, è soggetto a frodi e a sostituzione di specie” spiega Valentina Tepedino, consulente e referente scientifica di Eurofishmarket, un’organizzazione specializzata nella formazione e informazione nel settore ittico. “Questo – prosegue – vuol dire che può essere venduto come gambero rosso di Mazara il gambero bianco o quello viola, meno pregiati e quindi meno costosi. Un altro escamotage truffaldino usato nella vendita, scoperto anni fa da un blitz della capitaneria di porto, è quello di aprire le confezioni, lasciare una prima fila di gamberi rossi e scambiare quelli sotto con gamberi di altre specie”. Impossibile accorgersene, in casi del genere. Così come il consumatore non può scoprire, a meno che non sia un super esperto, se hanno messo troppi additivi, che pure sono consentiti per la conservazione dei crostacei, o se il gambero è stato scongelato e ricongelato. 

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Perché vale tanto

Sì, perché il gambero rosso di Mazara, a dispetto di quanto si pensi, viene pescato e congelato a bordo, una tecnica di conservazione che è molto apprezzata, poiché permette di preservare intatte le proprietà organolettiche del prodotto anche a distanza di mesi dalla cattura e di consumarlo come fresco. 

Un principio confermato anche dall’Institute of Food britannico, secondo il quale gli alimenti surgelati mantengono le caratteristiche nutrizionali e quelle legate al sapore più a lungo rispetto ai prodotti freschi, sempre che siamo surgelati mediante processi rigorosi e controllati. E la flotta alturiera di Mazara, unico caso di pesca industriale in Italia, è dotata di attrezzature all’avanguardia e di capitani ed equipaggi esperti, che negli ultimi decenni si sono riconvertiti professionalmente per acquisire e utilizzare le tecniche moderne. 

Sul fronte della tutela del consumatore, infatti, il problema si può affacciare quando i gamberi sbarcano a terra. È qui che il venditore disonesto può fare i miscugli. Sempre con gamberi rossi ma di altri tagli, più piccoli, oppure con gamberi viola o anche con quelli bianchi. 

Riconoscerli non è facile. I primi sono di color rosso sangue, hanno il rostro allungato (quella parte di carapace che si trova in mezzo agli occhi), provvisto di 5 o 6 denti; i secondi sono rosso chiaro, con delle sfumature tendenti al violaceo e all’azzurro, e contano solo tre denti nella parte superiore del rostro. Gli ultimi sono rosa-arancio, tendenti al violaceo, sono più piccoli di taglia, arrivano al massimo a 15 centimetri di lunghezza, e soprattutto sono molto comuni da trovare in tutto il Mediterraneo.   

Il punto è che è a Mazara, città marinara di 50mila abitanti della provincia di Trapani, con un porto che si affaccia sul Canale di Sicilia e che dista meno di 200 chilometri dalle coste tunisine, la flotta si è ridotta nel corso dei decenni. Oggi sono solo una cinquantina i pescherecci che lasciano terra per stare in mare per due o tre mesi, navigano per due giorni senza sosta per raggiungere le zone di pesca, a rischio della loro vita. Un’attività già rischiosa che sta diventando ancora più pericolosa. È chiaro che il problema della reperibilità nasce quando la richiesta di un prodotto è alta e l’offerta è inferiore, e qualcuno ne può approfittare per spacciare i gamberi del Mozambico o dell’Argentina per gambero rosso di Mazara. 

“Il nostro – aggiunge Valentina Tepedino – è un prodotto ad alto valore aggiunto, che meriterebbe una migliore promozione . Anziché andarlo a mescolare e quindi a deprezzare bisognerebbe puntare sulla valorizzazione. Ci sono alcune aziende in Sicilia che lavorano bene anche sul piano della comunicazione, che scommettono proprio sull’unicità del prodotto, sull’autenticità e sulla sua salubrità”. Insomma, un vero tesoro, l’ammaru russu, come lo chiamano da quelle parti, che a sentire gli esperti ha un sapore inconfondibile, fatto della sapidità e della salinità delle cristalline e trasparenti in cui è pescato. Un piacere per il palato soprattutto se consumato crudo, di chi ha fortuna di assaggiarlo ma anche fonte di una guerra senza quartiere tra paesi. Quella che vi raccontiamo in queste pagine.

“Mitragliati per ore dalle motovedette libiche”

Il 6 maggio ci trovavano a 37 miglia a Nord-Ovest dalla costa libica, una nave italiana che era nelle vicinanze ci ha detto che dovevamo allontanarci, di assumere rotta Nord. Così abbiamo fatto. Dopo due ore di navigazione verso la Grecia, ho avvistato una nave libica, che ci ha affiancato e ha cominciato a sparare”. Giuseppe Giacalone, comandante dell’Aliseo, marinaio da quando aveva 13 anni, è stato preso a mitragliate da una motovedetta libica, “una di quelle – spiega – che gli abbiamo dato noi italiani, della ex guardia di finanza. Ci hanno sparato almeno novanta colpi, presi a fucilate per quasi due ore”. È stato ferito alla testa, colpito dalle schegge di vetro che si sono staccate dai vetri della plancia, distrutta dalle pallottole. Come ogni comandante che si rispetti, Giuseppe aveva messo in sicurezza l’equipaggio facendolo riparare nella stiva, e se l’è vista da solo con i miliziani. La sua brutta disavventura la può raccontare, perché a un certo punto i libici lo hanno lasciato andare. 

Questo è l’ultimo drammatico episodio avvenuto tra le acque del Mediterraneo che ha visto coinvolta un’imbarcazione italiana, partita da Mazara del Vallo per andare a caccia del gambero rosso. Equipaggi che partono per le battute di pesca e che vengono assaltati dalla guardia costiera di un paese che si dichiara amico dell’Italia. Stando ai dati del Distretto della pesca siciliano, una cooperativa che riunisce gli operatori del settore, negli ultimi 25 anni sono state sequestrate più di 50 barche e due confiscate, mentre circa 30 pescatori sono stati fermati e decine di persone ferite. I sequestri di pescherecci italiani sono diventati più frequenti dal 2005, quando il Muammar Gheddafi ha deciso unilateralmente di estendere le acque territoriali libiche da 12 miglia (il limite fissato dalle norme internazionali) a 74 al largo della costa, affermando così il diritto a sfruttare in maniera esclusiva le risorse ittiche in quel tratto di mare. Ma gli attacchi e le angherie vengono anche dai marinai turchi e greci.  

“Mio figlio è stato catturato ed è rimasto in prigione per 108 giorni, da settembre a dicembre 2020” racconta Rosetta Ingargiulo, mamma di Piero Marrone, uno dei 18 pescatori accusati di aver sconfinato nelle acque libiche. “Dopo il sequestro sono rimasta sedici giorni senza notizie, poi ho ricevuto una telefonata telegrafica in cui Piero mi chiedeva aiuto. Sono andata a Roma con altre donne, moglie, figlie, in presidio davanti a Palazzo Chigi per chiedere l’intervento del governo per la liberazione. Abbiamo avuto qualche incontro con i ministri, dicevano che li trattavano bene, ma non è stato così. Sono rimasti per 108 giorni e quando li hanno liberati non si potevano guardare. Hanno sofferto loro, e abbiamo sofferto noi familiari”. I marinai sono finiti nelle galere di Bengasi, nella roccaforte del generale Khalifa Haftar e la vicenda si è consumata nel silenzio assordante delle istituzioni nazionali. A pagare il prezzo più alto in questa battaglia economica e politica sono i pescatori e gli armatori, a caccia del pregiato oro rosso della Sicilia, che nella migliore delle ipotesi abbandonano l’attività. 

“La cosa peggiore che è successa, mentre i libici mi sparavano, è stata che nessuno è intervenuto, né la nave che ci aveva raggiunto né l’elicottero che stava sopra di noi, entrambi della marina militare italiana” conclude il comandante Giacalone, che ancora conserva la maglietta sporca di sangue. Oggi non se la sente di tornare in mare: “Come pescatore sono morto. Sono in cura da uno psicologo e non ho il coraggio di salire su una barca”.