La notizia aveva fatto il giro del mondo. Quando cinque anni fa la città tedesca di Amburgo vietò in tutti gli uffici pubblici le capsule del caffè, in molti si chiesero se fosse arrivato davvero il momento di un cambio radicale nei materiali in cui vengono prodotti gli involucri di queste bevande. A distanza di anni, però, sono poche le aziende che hanno abbandonato il mix di plastica e alluminio che le rende molto difficili da riciclare. E ben lontana sembra la svolta del leader di mercato, la Nespresso, che ha preferito puntare sul riciclo, con una sperimentazione partita nel Regno Unito e proseguita a New York, per rendere più facile il recupero dell’alluminio, nel suo caso il costituente principale dei contenitori.
NESPRESSO NON CEDE SULLE CAPSULE
L’obiettivo del marchio di proprietà Nestlé, come spiegava in passato l’azienda, era diventare entro il 2020 la prima azienda ad utilizzare 100% alluminio di origine responsabile, dove per responsabile si intende un materiale che rispetti gli standard per promuovere la tutela della biodiversità, il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene, la gestione delle acque e le basse emissioni di carbonio durante la produzione di alluminio.
Il portavoce Nespresso, nei giorni in cui sui giornali si parlava della decisione radicale della città di Amburgo aveva dichiarato alla Bbc: “Ci viene spesso chiesto se le singole porzioni e l’uso dell’alluminio contraddicano la sostenibilità. A nostro avviso, è il contrario”, spiegando che il caffè monodose è un metodo per ridurre gli sprechi di acqua e caffè e ridurre l’impronta di carbonio.
Resta il fatto che ancora oggi, in Italia, per i patiti di Nespresso restano solo tre possibilità: gettare le capsule che consumano nell’indifferenziata, esercitarsi nella complicata separazione della parte in alluminio dai residui della polvere o mettere da parte le capsule e consegnarle nei punti vendita monomarca.
E, a prescindere dalle politiche del leader di questo mercato, osservano gli analisti, finché le vendite crescono con tanta rapidità, la pressione per offrire alternative più sostenibili potrebbe non essere tanto pressante. E che il mercato tiri non c’è alcun dubbio, se si considera che oramai siamo arrivati al punto che si vendono più capsule che caffè in polvere e solubile.
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12MILA TONNELLATE NELLE DISCARICHE ITALIANE
Eppure i numeri parlano da soli: 10 miliardi di tazzine di caffè bevute ogni anno vengono proprio da questi contenitori monodose e producono 120mila tonnellate di rifiuti di cui 70mila solo in Europa. In Italia, dove questo sistema ha conquistato una grandissima fetta di consumatori proprio per la passione tricolore per l’espresso, si calcola che si consumi 1 miliardo di capsule l’anno e 12mila tonnellate finiscano in discarica. Se mettessimo in fila solo gli involucri usati di caffè che finiscono nelle discariche all’interno dei nostri confini faremmo un intero giro della terra. E tenete conto che si tratta dei dati ufficiali più recenti, datati 2010, dunque certamente superati dal boom degli ultimi anni.
Un problema enorme che ha portato persino John Sylvan, l’inventore della monodose K-cup, la capsula più venduta in America, a rinunciare alla sua invenzione. “A volte mi sento male a pensare che l’abbia realizzata io”, ha confessato a un giornalista.
CAPSULE COMPOSTABILI, ANCORA TROPPO POCHE
Il tema appassiona e mette in moto diversi approcci. La Commissione europea sta cercando di promuoverne il riciclo e ha già chiesto di considerare la capsula vuota del caffè alla stregua degli altri imballaggi. A fine gennaio 2016 è stato annunciato che sarà un team tutto italiano a produrre capsule di caffè compostabili, con il programma europeo Life Pla4coffee. Il progetto riguarda l’uso dell’acido polilattico come sostituto degli attuali PE, PET e allumino. Della squadra, capitanata da un’impresa bolognese di imballaggi, fanno parte l’Università di Tor Vergata, un’azienda chimica vicentina e il Centro regionale di competenza nuove tecnologie per le attività produttive con sede a Napoli. Una volta a regime, questo progetto potrebbe consentire: l’eliminazione di 70mila tonnellate di rifiuti destinati alla discarica o all’incenerimento in Europa; il risparmio di 15mila tonnellate di petrolio e di 20mila tonnellate di bauxite e di altri inquinanti pericolosi utilizzati nel processo di produzione dell’alluminio.
La nuova capsula, compostabile al 100% e in grado di preservare l’aroma del caffè, “è stata approvata e stiamo trattando per renderla commercializzabile”, ha spiegato Cesare Rapparini, dell’azienda bolognese di meccanica per l’imballaggio Ica. Nel frattempo qualche soluzione è già stata adottata da alcune aziende italiane e da marchi della grande distribuzione: da Vergnano a Lavazza a Coop cresce l’offerta di capsule compostabili che possano finire direttamente nella frazione umida dei rifiuti domestici per essere poi smaltite senza grandi problemi. Una scelta certamente più compatibile con la sensibilità ecologica che inizia a farsi strada prepotentemente nel vecchio continente così come in Italia.
LA SUPERIORITA’ DELLE CIALDE
La coscienza ecologica, però deve fare i conti con la praticità e la soddisfazione del palato. E in questi due aspetti il caffè espresso preporzionato ha davvero pochi concorrenti. Se non fosse che anche in questo settore l’alternativa in grado di accontentare ambiente e palato c’è e si chiama cialda. La cialda è una sorta di filtro – come quello del tè – contenente circa 7gr di caffè. Anche in questo caso, esattamente come avviene per la capsula non ci sono sprechi, non si sporca la cucina, non c’è pericolo di sbagliare con le dosi e trovarsi di fronte a una tazzina con troppa acqua o una bevanda che sa di bruciato.
In più, al contrario di quanto avviene con le capsule, il materiale è interamente compostabile, la carta filtro, una volta utilizzata può essere tranquillamente gettata nel cestino dell’umido e così avviata al compostaggio, proprio come i filtri di tisane e tè. E non serve neppure estrarre i fondi del caffè.
Non solo, sempre sul versante ambientale, le cialde hanno dalla loro un volume decisamente minore di quello occupato dalle capsule il che equivale a un risparmio sensibile in fase di trasporto dell’alimento e di uso del packaging.
Se si aggiunge che sono mediamente più economiche delle capsule e che per come sono realizzate garantiscono un espresso più cremoso, i motivi per scegliere una cialda sono assai chiari. Certo, servono macchine adatte ad ospitarle, ma anche in questo caso vincono il confronto, dato che gli apparecchi in commercio sono in genere in grado di ospitare qualunque marca di cialde, senza dover sforzarsi di trovare e sperimentare solo quelle compatibili con alcune marche, come accade per le capsule.