La protesta di Fridays for future: “Lo stato non finanzi Eni per la sua finta politica green”

Il 12 maggio è il giorno scelto dalle associazioni ambientaliste per protestare contro Eni e, queste le parole di Friday for future Italia, “denunciare le responsabilità di Eni nella crisi climatica e nella devastazione ambientale dei territori in cui opera”. Il giorno non è stato scelto a caso: nelle stesse ore si tiene l’assemblea degli azionisti della prima azienda italiana di idrocarburi, che si terrà online e a porte chiuse.

Friday for future contro Eni

Il movimento fondato da Greta Thumberg, scrive in un comunicato: “Torniamo a manifestare contro Eni, che cerca di ripulire la sua immagine mostrandosi in prima linea nella produzione di rinnovabili, mentre continua ad investire in gasdotti, oleodotti e petroliere”. F4F sottolinea come “sia ora che anche lo stato, che è azionista di maggioranza di Eni, si renda conto dell’urgente necessità di abbandonare il modello fossile e le multinazionali che lo perpetuano, interrompendo ogni forma di finanziamento e legittimazione nei loro confronti e investendo in un reale processo democratico di transizione ecologica. Non un euro del Next Generation EU dovrebbe finire nelle mani di chi inquina e distrugge, che ad oggi dovrebbe unicamente occuparsi di bonificare le aree che ha devastato.”

Il presidio a Ravenna contro il progetto Ccs

Tra i presidi organizzati, uno è a Ravenna, proprio in direzione del tratto di mare sotto cui Eni si appresta a catturare e stoccare CO2, oltre che a Licata (Agrigento) per opporsi a nuove perforazioni in mare, a Stagno (Livorno), contro il progetto di bioraffineria, a Presenzano (Caserta) contro la nuova centrale turbogas, e a Roma. Al progetto di Ravenna, il Salvagente ha dedicato in cui si mettevano in risalto le criticità dell’operazione Ccs (Carbon Capture and Storage). Mentre è noto che circa il 37% dello stanziamento previsto per l’Italia dovrà essere utilizzato per le energie rinnovabili, c’è chi paventa che una buona fetta tocchi proprio al Ccs di Eni.

Il progetto contestato

Il colosso del petrolio e del gas aveva dichiarato di voler realizzare un impianto – il Css, appunto – che dovrebbe catturare l’anidride carbonica emessa dai combustibili fossili i quali, nel frattempo, continueranno ad essere prelevati e utilizzati. Insomma, serve energia per muovere l’impianto “assorbi-CO2” che nel frattempo industrie, auto, case continueranno a liberare nell’aria. Un cortocircuito, se ci si sofferma, inaccettabile per chi si dice contrario a questa operazione, ritenuta una strada non verificata dagli studi scientifici che, utilizzando risorse pubbliche – distoglie dal vero obiettivo, ovvero l’imprescindibilità della transizione energetica. Eni, dal canto suo, difende il Ccs, ma il Salvagente non ha ottenuto risposte puntuali a domande precise: ovvero se sia sensato continuare a liberare CO2 per poi catturarla, e se, eventualmente, sia etico farlo con soldi pubblici, a fronte di scarse prove scientifiche su come avvenga questa “cattura”. Abbiamo provato a porle alla partecipata italiana ma senza successo.
È questo punto a tenere insieme le battaglie di associazioni come Legambiente e Greenpeace, ma anche gli scienziati di Energia per l’Italia, gruppo condotto da Vincenzo Balzani, chimico emerito dell’Università bolognese e membro dell’Accademia dei Lincei. Agli inizi di dicembre, da vari gruppi della società civile contrari al progetto di Eni, è stato anche lanciato un manifesto aperto a tutte le organizzazioni, singoli, scienziati e personalità del mondo accademico; si chiama “No Ccs, il futuro non si s(tocca)”, accompagnato da una campagna affinché i fondi previsti dal Recovery fund siano investiti in una “transizione energetica e per un radicale cambiamento delle politiche energetiche del nostro paese”.

Balzani (Lincei): “Ecco perché lo stoccaggio di CO2 è una sciocchezza”

“La Conferenza di Parigi ha evidenziato che il cambiamento climatico è la minaccia più grave per l’umanità: come si fa a fermarlo? Bisogna smettere di usare i combustibili fossili”.
ragiona Vincenzo Balzani, che spiega: “Politica e industria sono in ritardo. Smettere di usare i combustibili fossili significa anche salvare il mondo dall’inquinamento. In Italia ogni anno muoiono 80mila persone che si ammalano a causa dell’inquinamento, anche più di quelle provocate dalla pandemia. Si stima che in Europa siano 500mila i morti. ‘Non ci sarà lavoro in un pianeta morto’, recitava un motto sindacale qualche anno fa. Ed è così. C’è però una strada e la conosciamo tutti, quella delle energie rinnovabili: sole, vento e pioggia; fotovoltaico, eolico ed elettrico. Questi tre tipi di energia non producono CO2, non inquinano e non emettono calore, una forma di energia inferiore a quella elettrica prodotta dalle rinnovabili”. Balzani per sostenere il suo ragionamento, elenca dei numeri: quando il calore si trasforma in elettricità, se ne perde il 70%. In una centrale elettrica a carbone, il 70% dell’energia se ne va in calore. Un’auto a combustibili fossili ha un’efficienza energetica del 20-25%; anche in questo caso il resto si disperde in calore. Un’auto elettrica, invece, converte il 90% nel movimento delle ruote. “Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni – continua Balzani – sostiene che le rinnovabili non siano mature e che il metano sia l’energia ponte, perché produce meno anidride carbonica e inquina meno; ma non è vero, è una bugia. La realtà è che tutti i petrolieri hanno capito che il carbone non lo vuole più nessuno, ma lo avremo lo stesso fino al 2025”. E sul Ccs in particolare il professore dell’accademia dei Lincei, dichiara: “Bisogna che sia chiaro che non esistono evidenze del fatto che funzioni, ma solo tentativi sperimentali. La Ue ha finanziato progetti che studiassero il Ccs per alcuni anni, ma non si è concluso niente. Di fatto, questo impianto dovrebbe catturare la CO2 nell’aria e stoccarla sotto al mare. Posto che non si sa come fare a isolare la CO2, le quantità restano enormi. Eni ha presente che nel mondo ogni secondo riversiamo mille tonnellate di biossido di carbonio? E poi dove la catturo questa CO2? Magari fuori dagli stabilimenti, non di certo dal tubo di scappamento della mia auto…C’è un vero e proprio cortocircuito: per catturare la CO2 c’è bisogno di energia, che arriva dai combustibili fossili. Chi ha fatto i conti ha stabilito che non si riesce a catturare neanche una quantità uguale a quella che si produce”.

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Poi c’è un altro tema, per Balzani, “la CO2 è un gas e, comprimendola, posso trasformarla in un liquido e incanalarla nei gasdotti che vanno a finire nei giacimenti già utilizzati a Ravenna. Quando butto biossido di carbonio nei giacimenti dove è rimasto poco petrolio, riesco a farlo venire su. Ecco a cosa serve il Ccs. Il punto è che Eni in Italia comanda più del governo. Ma il discorso vale anche per Snam e Saipem…”