Il 22 marzo è la data scelta dai lavoratori di Amazon Italia per incrociare per la prima volta le base con uno sciopero unitario nazionale che riguarda 40 mila lavoratori distribuiti in 122 siti, il primo al mondo dell’intera filiera. “Un’adesione media nazionale del 75% tra i driver”. Ad affermarlo il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio, secondo cui “la risposta dei lavoratori è stato importante con picchi fino all’adesione totale”. Amazon da anni è sotto pressione a livello internazionale riguardo al rispetto dei diritti dei lavoratori.
Alessandra (Colleferro): “Ci avevano promesso altro…”
A partecipare allo sciopero anche gli ex lavoratori in somministrazione del polo Amazon di Colleferro, aperto lo scorso settembre con la promessa di dare posti di lavoro a migliaia di abitanti della zona, e che a distanza di qualche mese ha lasciato a casa un numero incerto tra i mille e i duemila interinali, alla fine del primo contratto. Tra questi c’è anche Alessandra Ceccarelli: “Sono stata assunta con contratto di somministrazione dopo formazione dell’agenzia interinale Adecco a ottobre. Nei mesi in cui ho lavorato per Amazon ho svolto diversi ruoli, e mi è capitato di subire una distorsione alla caviglia. Una volta andando a sbattere contro una pedana messa male, un’altra volta scivolando sul sale buttato all’ingresso per il ghiaccio. In entrambi i casi il medico di turno nello stabilimento dopo avermi visitata mi ha fatto una medicazione mi ha consigliato di continuare a lavorare per non lasciare la postazione scoperta”. Il sottinteso, secondo Alessandra e altri lavoratori scaricati a fine contratto, era che lavorando sodo e non prendendo malattie o riposo per infortunio, l’azienda avrebbe premiato l’atteggiamento con una seconda assunzione. Ma il 31 gennaio per Alessandra, così come per altri, è arrivata la doccia fredda: “Adecco mi ha comunicato che tramite loro non ci sarebbe stato un rinnovo, ma Amazon non si è fatta sentire con quasi nessuno”. Per i lavoratori il problema è che né Amazon né Adecco avevano chiarito che le assunzioni erano previste per il picco invernale, quando i consumatori – tra black friday e Natale – comprano di più. “Anzi – spiega Alessandra – durante la formazione, da Adecco ci hanno detto chiaramente che se avessimo lavorato bene, senza ritardi e altre perdite di tempo, Amazon ci avrebbe probabilmente rinnovato. Mentre solo dopo ci siamo accorti a nostre spese che finito il periodo di picco, eravamo destinati a tornare a casa”.
Formazione “infinita”…
“Molte persone, rimaste nei vari gruppi di selezione e formazione sono ancora in attesa di essere chiamati da Amazon – racconta uno dei colleghi di Alessandra – Erano già state sottoposte alla visita medica che ne ha dichiarato tra agosto settembre ottobre e qualcuno a novembre…per tali giornate è stato conseguito un attestato hccp e idonea formazione sulla sicurezza e a tutto questo seguiva un pagamento del lavoratore di 100 euro perché da regolamento i ritenute idonei e assunti erano pagati da Amazon tramite Adecco che si era occupato del coordinamento dei numerosi gruppi selettivi. Ma” continua “Non si è capita la logica di assunzione nei gruppi tant’è che dopo le illusorie 100 euro tutti credevano di essere dentro. Prima o poi avrebbero chiamato tutti. Un bel numero di persone ancora attendono il famoso contratto. La vera tortura per loro è iniziata a gennaio e sta continuando con le telefonate da parte di Adecco che invia dei nuovi test e promette immediate assunzioni quando è ben chiaro che da gennaio altri gruppi sono partiti ed alcuni di loro assunti. I vecchi del 2020 una volta gli viene detto che rifaranno una formazione, ad altri che gli attestati sono scaduti ad altri ancora che devono ricominciare tutto”.
Serena (Firenze): “140 consegne al giorno, un carico insostenibile”
E i conti aperti tra lavoratori e Amazon non riguarda solo gli interinali. Serena Viscusi, che ha un contratto indeterminato con una cooperativa che lavora per il centro di smistamento di Firenze, 200 dipendenti circa, racconta al Salvagente: “Ho scioperato perché il carico di lavoro tra dicembre e gennaio è aumentato in maniera insostenibile. Io faccio la driver, guido il furgone con i pacchi. Quando ho iniziato a lavorare qui dovevo fare 70-80 fermate al giorno, a dicembre grazie al temporaneo impiego di una settantina di lavoratori a tempo determinato l’aumento si era fermato a 90-100 stop per la consegna, a gennaio dopo la fine dei contratti temporanei, siamo saliti anche a 140″. Serena parte la mattina alle 8 col suo furgone, con cui deve coprire un arco di 200 km, e torna a casa dopo le cinque del pomeriggio. “Per poter effettuare tutte le consegne richieste, in media una ogni tre minuti, in quelle 9-10 ore di lavoro non c’è tempo per fare una pausa pranzo. E adesso che ci troviamo in zona rossa, con i bar chiusi è difficile persino trovare un posto dove andare in bagno. Dobbiamo cercare un supermercato, o se siamo in campagna, dobbiamo farla nei boschi”. La fortuna di Serena è che avendo un contratto a tempo stabile, e dunque sforare con le consegne del giorno non ha conseguenze drammatiche, almeno se la cosa si mantiene un caso isolato. “Ma nel nostro centro di smistamento ci sono 4 cooperative diverse e ognuna ha contratti diversi. Per esempio non tutti hanno la 13esima e la 14esima fuori busta come noi”, spiega Serena, che aggiunge: “Quello che chiediamo è che l’azienda non elimini l’accredito degli straordinari per la domenica, come vorrebbe fare, e che diminuisca il carico di lavoro. La sera arriva a casa così stanca che non riesco nemmeno a giocare un po’ con la mia bambina di 5 anni”.
Filt Cgil: “La ricchezza accumulata da Amazon non deve andare a scapito dei lavoratori”
Proprio a partire da storie come queste, i sindacati confederali hanno deciso di convocare lo sciopero. “Noi vogliamo – sostiene il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio – che la ricchezza accumulata in questo periodo di grande sviluppo dell’e-commerce sia in qualche modo ridistribuita tra i lavoratori da un punto di vista della qualità del lavoro e del salario e che Amazon rispetti le regole del nostro paese prima fra tutte la rappresentanza dei lavoratori. “Tra i corrieri attualmente – sottolinea Malorgio ci sono carichi di lavoro insostenibili, non compatibili con la qualità del lavoro per una multinazionale così importante. Vogliamo inoltre verificare le condizioni di lavoro dentro i magazzini, da un punto di vista della sicurezza, del numero degli interinali occupati e sapere quali sono i salari”.
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UilTemp: “Basta con il benservito ai lavoratori in somministrazione
Lucia Grossi, segretario generale UILTemp dichiara: “Il florido momento che vive Amazon, non coinvolge purtroppo gli oltre 10 mila lavoratori e lavoratrici in somministrazione che sottostanno a un’organizzazione del lavoro inaccettabile: contratti brevi, estenuante turn over, continue modifiche di orari, frammentazione dei contratti e assenza di chiari obiettivi per il loro futuro”. Continua il segretario UILTemp: “si aggiunge inoltre la tragedia vissuta da centinaia e migliaia di persone selezionate e formate a cui dopo un mese di lavoro è arrivato il benservito, magari al termine di un turno di notte attraverso un sms con tanto di comunicazione formale per la restituzione del badge”. Conclude Lucia Grossi “Amazon deve assumersi le proprie responsabilità anche con i lavoratori in somministrazione, la storia di un impiego veloce, senza voce non è accettabile in un Paese come il nostro che ha fatto del lavoro una battaglia per la dignità”.