Caro Salvagente, ti scrivo per segnalare una situazione che forse già conoscete ma che a me sta molto a cuore. Sulla via del Mare a Latina, ma penso che la stessa cosa accada anche altrove, ho notato che nei campi confinanti, per esempio dietro i banchi dei rivenditori di frutta e verdura, ma anche in molti altri terreni, i teloni di plastica che servono per impedire la crescita delle erbe infestanti non sono tolti dopo il raccolto, ma rimangono a degradarsi nella terra. Anzi, peggio, a volte vengono arati e tritati dai trattori.
Un trattamento che non fa altro che accelerare la formazione di quelle microplastiche che già inquinano il mare e presto avveleneranno anche i campi coltivati e gli animali del nostro pianeta. E naturalmente l’uomo. Con quale coraggio spoi si parla di prodotti genuini della nostra terra, di chilometro zero e così via?
Lettera firmata
Il nostro lettore solleva un argomento davvero interessante che merita una risposta da parte di un esperto. Noi l’abbiamo affidata a Franco Ferroni, responsabile agricoltura del Wwf Italia.
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Se si tratta di teli pacciamanti in plastica, la pratica di non eliminarli dal terreno ma di inglobarli con l’aratura è una pratica insensata e insostenibile, giustificata solo dal risparmio di tempo. Esistono oggi teli pacciamanti in bioplastiche, completamente biodegradabili ed ammessi per questo anche in agricoltura biologica. In questi casi lasciare degradare in campo i teli o inglobarli nel terreno con l’aratura è una pratica sostenibile che incrementa la sostanza organica del suolo. L’agricoltore dovrebbe essere adeguatamente formato e informato per adottare pratiche più sostenibili come sostituire i teli pacciamanti in plastica con quelli biodegradabili in bioplastiche. Queste sostituzioni dovrebbero essere incentivate anche attraverso le risorse della Politica Agricola Comune prevedendo premi economici per gli agricoltori in grado di compensare i maggiori costi dei teli biodegradabili. La transizione ecologica della nostra agricoltura passa anche attraverso la modifica di queste pratiche ancora in uso tra gli agricoltori per mancanza di cultura ed attenzione e per la logica della massimizzazione dei profitti che scarica i costi ambientali su tutti i cittadini.