Le aziende italiane che hanno interesse al via libera al Mercosur

MERCOSUR ALLEVAMENTO

Mentre le organizzazioni agricole, sindacali e ambientaliste italiane premono perché l’accordo commerciale Ue-Mercosur non venga firmato, ci sono grossi gruppi che al contrario ne trarrebbero un profitto. Sono i grandi brand che utilizzano Argentina e Brasile, soprattutto, come territorio dove produrre a basso costo per poi importare in Europa i prodotti finiti. L’abbattimento dei dazi favorirebbe loro, sfavorendo la media e piccola produzione, e gli stabilimenti industriali in territorio europeo, con anche conseguenze di tipo ambientali. Secondo diversi report e studi, infatti, gli investimenti europei nei paesi del Mercosur (oltre ad Argentina e Brasile anche Paraguay, Uruguay) giocano un ruolo importante nella deforestazione e nello squilibrio ambientale di Amazzonia e altri ecosistemi delicati del Sud America. Lo spiega bene il rapporto “Colpevoli di ecocidio”, curato da Monica Di Sisto, pubblicato dalla rete di associazioni del terzo settore che compongono la Campagna italiana Stop Tttip-Ceta, che si batte contro i possibili effetti disastrosi dei trattati commerciali internazionali.

Il collegamento con la deforestazione

L’Italia, come racconta il report, “ha una presenza antica nell’area amazzonica, in cui operano direttamente e indirettamente oltre 500 aziende italiane e loro filiali/consociate tra le quali le grandi ammiraglie partecipate dei settori energetici, meccanici e delle infrastrutture. L’Amazzonia non è deve essere la loro terra di libero sfruttamento, nonostante la compiacenza e l’incoraggiamento ricevuto in questi anni da Governi e autorità locali delle due parti”. Da questa immensa area dipende il 20% dell’ossigeno che respiriamo e che ospita il 10% della biodiversità globale. E nonostante ciò la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è aumentata costantemente dal 2012, balzando in alto del 54%, conn l’amministrazione di Bolsonaro. All’argomento ha dedicato un documentario, Deforestazione made in Italy, Francesco De Augustinis, come raccontato dal Salvagente. 

La carne importata in Europa

Analizzando 56 società brasiliane che sono state condannate per crimini ambientali in Amazzonia dal fino al 2018, Amazon Watch identifica una serie di gruppi industriali anche italiani che hanno fatto affari con esse fino al 2018. “Parliamo – continua il rapporto – del Gruppo Bihl che lavora nell’allevamento bovino e che ha lavorato con le più grandi pelletterie nel nord Italia”. Amazon Watch individua le responsabilità del gruppo agrifood Louis Dreyfus, sostenuto da Unicredit. E poi c’è Minerva, gigante dell’allevamento, sostenuta da Azimut, azionista fino al 2018 anche della brasiliana Mafrig, gruppo della carne, insieme a AcomeA. “Parliamo, infine, della multimiliardaria corazzata dell’agribusiness Cargill, finanziata anche dall’italiana Intesa Sanpaolo, mentre Unicredit ha investito nelle attività della controversa Adm, attiva nell’agricoltura e nell’allevamento” aggiunge il rapporto. Nell’articolo intitolato “Le mele marce” pubblicato da Science, un gruppo di ricercatori ha dimostrato che Il 2% delle proprietà in Amazzonia e Cerrado è responsabile del 62% di tutta deforestazione potenzialmente illegale e che circa il 20% delle esportazioni di soia e almeno il 17% delle esportazioni di carne bovina da entrambi i biomi verso l’UE potrebbero essere colpevoli dalla deforestazione illegale.

Il ruolo della soia

E non sono solo gli allevamenti ad avere pesanti responsabilità dal punto di vista ambientale: Un quinto delle 53.000 aziende che producono soia in Amazzonia e nel Cerrado l’hanno coltivata su terreni deforestati dopo il 2008,ignorando le regole, cioè illegalmente. I ricercatori hanno concluso che “circa 2 milioni di tonnellate di soia contaminata potrebbero essere state destinate ai mercati dell’Unione europea nel periodo coperto dallo studio. L’Unione europea acquista dal Brasile il 41% (13,6 milioni di tonnellate) di tutta la soia che importa e quasi il 70% di quel volume proviene dalle regioni dell’Amazzonia e dal Cerrado”. L’Ue importa dal Brasile anche oltre 140mila tonnellate di carne bovina all’anno. Il team internazionale di ricercatori ha scoperto che “Almeno uno su otto dei 4,1 milioni di capi venduti nei macelli ogni anno proviene direttamente da proprietà che potrebbero essere state deforestate violando la legge. Questo rappresenta il 2% della carne prodotta in Amazzonia e il 13% della produzione del Cerrado”. Ma lo studio avverte che “È necessario monitorare anche i fornitori indiretti di bestiame e questo non viene fatto dai grandi macelli, né dal governo”.

Le valutazioni d’impatto Ue

La Commissione europea ha commissionato alla London School of economics una valutazione d’impatto del trattato Eu-Mercosur sullo sviluppo sostenibile (Sia), che ha indicato tra i principali vantaggi che potrebbe venire al nostro Paese dal trattato. l’abbassamento dei costi di alcuni passaggi produttivi delle filiere del valore del tessile e dei mobili che le aziende italiane del settore hanno storicamente delocalizzato nei Paesi dell’area. E secondo una valutazione d’impatto indipendente redatta su input del gruppo parlamentare dei Verdi europei, l’Italia è al secondo posto dopo la Germania e prima di Olanda, Spagna, e Uk dei principali destinatari del 41,1% delle 140.243 tonnellate di carne bovina esportata dal Mercosur in Europa. “L’Italia, dunque, è fortemente corresponsabile della deforestazione e delle violazioni dei diritti umani e ambientali connessi all’attività dell’allevamento nell’area” scrive il rapporto di Stop Ttip-Ceta. Il nostro paese, poi, insieme a Olanda, Spagna, Germania e Italia è tra i principali acquirenti di soia nell’UE: importano più dell’80% della soia che entra nell’unione.

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E intanto l’Italia esporta pesticidi

Invertendo la direzione del flusso di scambio, invece, l’Italia è molto attiva nell’export nell’area di pesticidi e farmaci per gli allevamenti che verrebbe reso dal trattato più semplice e economico. Secondo uno studio della ricercatrice brasiliana Larissa Mies Bombardi, il Brasile e gli Usa sono i Paesi che utilizzano le maggiori quantità di pesticidi al mondo: consente l’uso di 500 fitofarmaci, 150 dei quali sono vietati nell’Ue. Come se non bastasse, aumentano le dighe e bacini idroelettrici finanziati anche dai programmi italiani per le cosiddette “fonti rinnovabili”. La media rilevata dall’organizzazione brasiliana Imazon è di circa 350 kmq di superfici d’acqua perse ogni anno nell’area.

Le aziende italiane in Argentina

Ma quali sono le grandi aziende italiane con più interessi in Argentina e Brasile? Vediamole.  Operano In Argentina oltre 200 aziende italiane, di cui moltissime nel settore manifatturiero. In Argentina la presenza italiana è fatta di big, come Aysa, Branca, Endesa Argentina (Enel), Fca, Ferrero Argentina, Generali Argentina, Italfer gruppo FS, Italtel, Iveco, Mapei Argentina, Pirelli, Salini Impregilo, Telespazio Argentina, Trevi Pilotes, ma anche di medio-grandi nei settori della meccanica, della siderurgia, sella produzione di energia e dei servizi. Con l’acquisto della spagnola Endesa, il gruppo Enel é entrato nei settori della generazione, distribuzione e trasmissione di energia elettrica. Detiene il 20% della generazione nazionale con le centrali Costanera, El Chocón e Dock Sud e Edesur.

…e in Brasile

In Brasile, sono importanti gli investimenti recentemente effettuati da Enel, che si è posizionato come primo investitore privato nel settore dell’energia elettrica, primo distributore di energia elettrica e primo generatore di energia da fonti eoliche e solari. Nel settore automobilistico, Fca è la seconda con il 17,5% del mercato. Altro settore della manifattura italiana in crescita in Brasile è quello dei mobili. Tutti i principali marchi italiani sono presenti sul mercato, in particolare a San Paolo, capitale industriale del paese. Ne è esempio Natuzzi, con un impianto produttivo a Bahia, inizialmente pensato per fornire al mercato americano e poi al mercato interno. Altri importanti marchi del settore includono: B&B Italia, FlexForm, Poliform, Living Divani, Giorgietti, Baxter, Porro, Ceccotti Collezioni, De Padova, Porada, Paola Lenti, Gervasoni, Armani Casa, Rabitti, Giobagnara, Arcade, Baleri, Edra, Ghidini 1961, Lema, Magis, Memphis Milano, Varaschin e Zanottalvi. In generale la maggior parte delle principali aziende italiane di tutti i settori sono presenti in Brasile: Alitalia, Almaviva, Asja, Atlantia, Azimut (finanza), Azimut (yacht), Barilla, Bonfiglioli, Bracco, Buzzi Unicem, Campari, Danieli, Eataly, Enel, FCA, Ferrero, Fincantieri, Fiera Milano, Gavio, Generali, Ghella, Illy, Impregilo, Intesa San Paolo, Leonardo, Luxottica, Maccaferri, Marcegaglia, Natuzzi, Pirelli, Prysmian, Rina, Saipem, Salini, Techint, Tecnimont, Terna, TIM, UBI Banca, Unicredit, solo per citarne alcunilii. Il solo gruppo Enel detiene in Brasile 122 partecipazioni. Barilla, in particolare, ci fa sapere che non importa dal Brasile o Argentina nessuna materia prima in Europa.