Fino a 9 pesticidi nelle fragole ma per Efsa non è un problema

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La recente comunicazione dell’Efsa circa la conclusione di due studi pilota retrospettivi sui rischi per l’uomo connessi alla presenza di residui multipli di pesticidi negli alimenti ha suscitato notevoli perplessità e interrogativi. Le indagini hanno riguardato una gli effetti cronici sulla tiroide e l’altra gli effetti acuti sul sistema nervoso e hanno entrambe concluso che per nessuno dei due obiettivi indicati esisterebbero rischi per i consumatori derivanti dall’esposizione alimentare cumulativa a multiresiduo e che pertanto non sono necessari adeguamenti della normativa per tutte le fasce di popolazione interessate: bambini e adulti.
La presenza di multiresiduo negli alimenti è in aumento e cresce anche il numero dei pesticidi presenti: in Italia nel 2017 su 9.939 campioni ben il 40% dei campioni di frutta e il 15% delle verdure presentava la presenza simultanea di più residui, con un massimo di 9 diversi pesticidi nelle fragole e 6 nell’uva da tavola. Il problema è quindi di grande rilievo e fonte di grande preoccupazione nella comunità scientifica specie per le potenziali ricadute sulle fasce più suscettibili della popolazione, in particolare donne incinte e bambini. Tuttavia nessuna delle due indagini di Efsa risulta essere stata pubblicata su riviste peer rewied, ovvero sottoposta a revisione paritaria, ma diffusa solo attraverso i canali ufficiali dell’Autorità e già questo rappresenta un problema niente affatto trascurabile perché sono ancora ben presenti nella memoria di tutti noi gli scandali che hanno interessato l’Efsa a partire dalla vicenda dei “Monsanto papers” sul rinnovo dell’autorizzazione del glifosato.

Nel dubbio? Solo ipotesi prudenziali

Per valutare il multiresiduo Efsa ha utilizzato i dati raccolti da 9 Stati membri compresa l’Italia nell’ambito del monitoraggio ufficiale sui residui di pesticidi negli alimenti nel periodo 2014- 2016 e per quanto riguarda le abitudini alimentari ha preso in esame i dati di dieci gruppi di consumatori provenienti da diverse aree geografiche e di tutte fasce di età. Per quanto riguarda l’esposizione è stato considerato il “margine di esposizione congiunto” (MOET), concetto usato comunemente nella valutazione del rischio chimico e che, se superiore a 100, è considerato protettivo per l’uomo. Ma quando anche il MOET in qualche caso è risultato inferiore a 100 (99,9° esposizione del sistema nervoso per i bambini piccoli e gli altri bambini), si specifica che sono state utilizzate ipotesi prudenziali per compensare la mancanza di dati e quindi… tutto va bene!
A partire dai dati dei monitoraggi nazionali si sono costruiti modelli matematico-statistici estremamente complessi per valutarne il ruolo nelle patologie prese in esame e in cui sono presenti numerosissime variabili e fattori di incertezza, ma l’inadeguatezza di questa complessa creazione emerge in modo evidente dal fatto che gli autori sono costretti a dedicare gran parte dello studio all’analisi delle incertezze (circa 50 pagine su 70) per arrivare alle loro conclusioni.
Numerose altre sono le criticità che emergono, a cominciare dal fatto che si è tenuto conto solo dell’esposizione per via alimentare, che non è certo l’unica via di esposizione a tossici ambientali. In particolare l’esposizione a pesticidi non avviene certo solo per via alimentare, ma anche residenziale e lavorativa. Così pure sappiamo che sono migliaia le sostanze di diversa natura chimica, in particolare gli interferenti endocrini – fra cui rientrano moltissimi pesticidi – che hanno come “bersaglio” tiroide e sistema nervoso. Non avere inquadrato il problema nella complessità delle interazioni delle varie sostanze e nella oggettiva difficoltà di arrivare a definitive conclusioni rassicuranti è a nostro avviso una colpevole dimenticanza: agire “a monte” nell’ottica della prevenzione primaria, riducendo tutte le fonti di esposizione, dovrebbe essere l’imperativo di ogni istituzione che volesse fare un buon servizio alla salute pubblica.
Un’altra grave lacuna è rappresentata dal fatto che il modello statistico parte dall’erroneo presupposto che gli effetti dei singoli componenti nella miscela siano solo di tipo additivo e non anche di tipo sinergico o antagonista e che le funzioni dose-risposta per tutti i composti siano sovrapponibili. Si tratta di semplificazioni che non rispecchiano la realtà delle cose perché gli effetti tossici di miscele di basse dosi di pesticidi sulla salute umana sono difficilmente prevedibili potendosi ad esempio registrare un potenziamento della tossicità fra piretroidi, carbaril, triazine e organofosforici, una sinergia fra piretroidi e carbamati e una azione antagonista fra triazine e procloraz.

Il vero significato di neoplasia

Vorrei ora analizzare altre criticità proprie delle due valutazioni. Nello studio sugli effetti sulla tiroide, ad esempio sono state valutate solo alcune patologie per esposizione cronica a multiresiduo: ipotiroidismo, ipertrofia a cellule C, iperplasia e tumefazioni di cui in verità non è ben chiarita la natura. Nel testo inglese è infatti utilizzato il termine “neoplasia” che, a differenza della lingua italiana, indica patologie di natura benigna o che comunque sarebbe stato opportuno specificare in modo adeguato. Certamente non si sono indagate le tiroiditi e se davvero non fossero stati indagati i tumori alla tiroide, si tratterebbe di una grave lacuna dal momento che i tumori della tiroide sono in aumento anche in giovane età e rappresentano il tumore più frequente nell’età 0-49 anni nelle donne, dopo il cancro alla mammella. Ma cosa si è inteso nel report Efsa per “effetti cronici” sulla tiroide?
Esclusivamente quelli conseguenti a una esposizione di soli tre anni! Come si può considerare adeguata per valutare l’esposizione a lungo termine una durata di soli 3 anni? Fino a prova contraria la nostra vita ha una durata ben diversa e le persone si mettono a tavola tre volte al giorno e non certo per soli tre anni.
Altro rilievo di non certo minore importanza è non aver valutato – non essendo disponibili modelli adeguati per stessa ammissione degli autori – l’azione sul neurosviluppo mediata dalla tiroide, che sappiamo essere fondamentale a partire dalla vita intrauterina per il normale sviluppo del cervello.
Veniamo ora allo studio sul sistema nervoso: ancor più paradossale appare la valutazione su questo apparato in cui si sono indagati due soli effetti acuti: l’inibizione dell’acetilcolinesterasi a livello del cervello e/o dei globuli rossi e le disfunzioni a carico del sistema motorio. Entrambi gli effetti sono tipici di una esposizione acuta quale quella derivante da intossicazioni. Come si può ritenere che l’esposizione a multiresiduo di pesticidi, presenti ovviamente a basse dosi negli alimenti, possa indurre effetti di questa portata?
Sappiamo ormai con certezza infatti che è l’esposizione cronica, specie nel corso della vita intrauterina, a dosi minimali di pesticidi a indurre alterazioni del neurosviluppo e questo si sarebbe dovuto ricercare.
Già nel 2007 si era dimostrato che il clorpirifos era in grado di alterare oltre il 60% di 252 geni coinvolti nel neurosviluppo. Che rassicurazione può provenire da studi che appaiono disegnati più per “assolvere” che per ricercare i veri effetti sulla salute umana di pericolose sostanze come i pesticidi e in particolare gli organofosforici, quali il clorpirifos? Cosa c’è di più importante del cervello dei nostri bambini? Già nel 2006 su Lancet si denunciava l’aumento di danni cognitivi, disfunzioni neuro comportamentali, relazionali, nonché la perdita di Quoziente intellettivo all’esposizione a sostanze chimiche estranee e nell’elenco di 202 sostanze note per essere tossiche per il cervello umano, ben 90 erano pesticidi.

Frutti avvelenati

In definitiva il Report appare una cervellotica esercitazione basata su modelli statistici-matematici estremamente complessi che ben poco hanno a che fare con la situazione reale; di fatto si è ricercato ciò che già a priori era facile prevedere non si sarebbe trovato, omettendo invece di indagare su effetti che già la comunità scientifica segnalava e che sarebbe stato utile confermare. Di fatto con questo documento, Efsa sembra volersi “arrampicare sugli specchi” nel maldestro tentativo di assolvere negli alimenti il multiresiduo di pesticidi, il vero “frutto avvelenato” di un modello agricolo fondato sulla chimica e ormai universalmente riconosciuto come fallito. Ancora una volta Efsa ha perso l’occasione per riconquistare la fiducia dei cittadini europei, avendo dimostrato di essere più attenta a tutelare i profitti dei giganti della chimica piuttosto che la salute pubblica.

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