Hanno fatto molto rumore, qualche giorno fa, i risultati dello studio coordinato dal Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), ma che ha visto coinvolti anche ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La ricerca aveva fatto rimbalzare sui media la notizia che il 5% dei casi di tumore alla vescica diagnosticati ogni anno in Europa, potessero essere attribuiti all’esposizione di sostanze chimiche, i trialometani (THM), presenti nell’acqua potabile.
Il Salvagente ha chiesto di fare chiarezza alle docenti Unimore – Università di Modena e Reggio Emilia – Elena Righi e Gabriella Aggazzotti, che hanno collaborato allo studio pubblicato da Environmental Health Perspective.
Dottoressa Righi e dottoressa Aggazzotti, cosa sono i trialometani?
I trialometani (cloroformio, diclorometano, dibromometano e bromoformio) sono composti che possono ritrovarsi nelle acque destinate al consumo umano come conseguenza del trattamento di potabilizzazione con prodotti a base di cloro. La concentrazione di tali sostanze è generalmente tanto più elevata quanto più sono ricche in sostanza organica le acque da trattare, situazione più frequente per acque di tipo superficiale (fiumi, laghi, bacini) che non per acque profonde (di vena e di falda). Questi composti vengono regolarmente monitorati dagli enti preposti al controllo e alla verifica della qualità delle acque potabili.
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In Italia si oltrepassano i limiti di sicurezza imposti per legge?
I risultati dello studio evidenziano in Italia una situazione decisamente favorevole: la qualità delle nostre acque è normalmente estremamente buona (molte reti sono approvvigionate da acque profonde) e la disinfezione induce la formazione di livelli molto limitati di trialometani, con valore medio di 3,1 microgrammi per litro. Proprio per questo motivo in Italia è stato possibile adottare un valore limite pari a 30 microgrammi per litro, valore molto più basso di quello che è stato raccomandato dalla Unione Europea e che è stato adottato da molti altri paesi europei (pari 100 microgrammi per litro).
Qual è la principale causa del cancro alla vescica?
Il fumo è il principale fattore di rischio per il tumore della vescica, ed è correlato a questa patologia con una forza sicuramente superiore a quella della associazione tra lo stesso tumore e i trialometani. Altri importanti fattori di rischio per questo tumore sono l’esposizione cronica ad alcune sostanze (ad esempio le ammine aromatiche e le nitrosamine) che può avvenire in alcuni settori lavorativi, quali l’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio.
Chi beve acqua dal rubinetto cosa può fare per controllare la qualità?
La normativa in vigore in Italia prevede controlli regolari per tutti i principali parametri da misurare nelle acque potabili (DL 31 del 2001, All 1 e 2, e DM 174 del 2004) ed è diritto del cittadino accedere ai risultati, che tuttavia non sempre sono facilmente reperibili, data anche l’assenza di un database centralizzato accessibile per il cittadini o per i ricercatori del campo. Esistono tuttavia diversi laboratori che effettuano anche gratuitamente indagini sulle acque potabili al consumo.
Ci sono buone pratiche casalinghe per abbassare i livelli di trialometani?
Esistono sistemi che possono ridurre la concentrazione di trialometani attraverso l’azione di carboni attivi. Si tratta di apparecchiature commerciali per uso domestico che debbono essere utilizzate accuratamente per evitare problemi legati ad una gestione casalinga imprecisa.
Se nessun paese superasse l’attuale media Ue, potrebbero potenzialmente essere evitati 2.868 casi annui di tumore alla vescica. Si può evitare l’uso di trialometano? Esistono alternative?
In Italia il numero di casi di tumore della vescica potenzialmente attribuibile all’esposizione a trialometani attraverso il consumo di acque potabili è risultato molto limitato, e pari all’1,2% di tutti i casi osservati. In più, sulla reale natura del rapporto tra trialometani e tumori esiste ancora incertezza, dal momento che una associazione essenzialmente statistica tra sostanze potenzialmente nocive ed effetti sulla salute umana non comporta necessariamente un nesso di causalità, che deve essere ulteriormente vagliato in maniera accurata, data la possibile presenza di numerosi fattori di confondimento (fumo di sigaretta in primis) che devono essere attentamente verificati e considerati. Esistono comunque diversi metodi di disinfezione delle acque, alcuni dei quali non producono, o producono in modo molto limitato, trialometani. Molti di questi, tuttavia, hanno la capacità di indurre la formazione di sottoprodotti di diverso tipo e natura, la cui pericolosità per la salute è ancora da indagare. Importante è soprattutto ottimizzare le modalità di esecuzione del processo di potabilizzazione e monitorare regolarmente i livelli di queste sostanze nelle acque, come si sta già ampiamente facendo applicando la normativa in essere, in modo tale da intervenire tempestivamente in caso in cui si identifichino situazioni anomale. È importante anche continuare a ricercare in questo settore, pur tenendo a mente come questa attività di ricerca ambientale non debba distogliere l’attenzione dai fattori di rischio ben noti e decisamente più importanti per la salute della popolazione generale, come ad esempio il fumo di tabacco. Aggiungerei infine questa considerazione: la disinfezione delle acque da destinare al consumo umano è un intervento di sanità pubblica estremamente efficace nel garantire all’acqua la sicurezza da un punto di vista microbiologico, requisito fondamentale per impedire il verificarsi delle gravi epidemie di origine idrica avvenute nel passato.