I dispositivi di protezione individuali che indossano gli agricoltori sono sufficienti a proteggerli dalle sostanze che maneggiano? E’ questa la domanda cui ha voluto dare una risposta un gruppo di ricerca multidisciplinare francese che ha fatto una revisione di tutti gli studi fiore pubblicati sulla questione.
Alain Garrigou, professore universitario di ergonomia, è l’autore principale dello studio. “Questo è un argomento – spiega al quotidiano francese Liberation – che viene affrontato da diverse discipline separate. Questa è la prima volta che offriamo un punto di vista multidisciplinare”. Garrigou spiega che c’è un grande divario tra teoria e pratica e che non bisogna ritenersi soddisfatti dei risultati di efficienza del laboratorio. “È sul campo, nella complessità delle situazioni, che viene valutata la qualità della protezione”, spiega  il professore.
Sul campo, entrano in gioco molti fattori che non vengono presi in considerazione in laboratorio. Il rischio di esposizione – aggiunge Garrigou – dipende dall’attività (preparazione del prodotto, trattamento, pulizia, ecc.). Ma anche dal pesticida utilizzato: non esiste una protezione generica che protegge da tutti i pesticidi.
In Francia, ci sono quasi 800.000 lavoratori non permanenti nelle fattorie – sottolinea Catherine Laurent, coautrice dello studio – In questa categoria rientrano varie categorie di lavoratori quelli a diretto contatto con i pesticidi e quelli che, invece,  svolgono raramente attività di applicazione di pesticidi e che sono dedicati alla raccolta o alla potatura, per esempio. Non hanno quindi un’esposizione diretta ai pesticidi ma indiretti, da residui nelle foglie, sui frutti, nella polvere. Tuttavia, questa esposizione indiretta ai pesticidi è molto poco presa in considerazione, anche se la ricerca tende a dimostrare che possiamo raggiungere livelli comparabili di esposizione in modo diretto o indiretto.
È probabile che il problema evidenziato dallo studio metta in discussione le autorizzazioni a commercializzare le molecole più pericolose. In effetti, il rischio per l’operatore è talvolta accettabile solo con l’uso di DPI. Ma se il detto DPI non è efficace nel settore, dovremmo continuare ad autorizzare queste sostanze?
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Nel 2016, l’Anses ha già osservato che “l’uso dei DPI non è sempre praticato dagli agricoltori durante le fasi di lavoro per le quali costituisce tuttavia una delle condizioni per l’autorizzazione a commercializzare i prodotti utilizzati2.
Come promemoria, nel 2013, Inserm ha affermato, nella sua competenza collettiva sui pesticidi e sui loro effetti sulla salute: “Sembra esserci un’associazione positiva tra l’esposizione professionale ai pesticidi e alcune patologie negli adulti: il morbo di Parkinson, carcinoma prostatico e alcuni tumori ematopoietici (linfoma non Hodgkin, mielomi multipli)”.