Black Friday: oggi è il giorno. Ma niente sconti sui nostri diritti

È black friday mania: i giornali ne parlano da giorni e tutte le maggiori catene di distribuzione hanno già cominciato anche se il giorno giusto sarebbe oggi, 29 novembre.

Perché si chiama Black Friday?

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L’usanza nata negli Stati Uniti sembra risalire al 1924, data in cui i magazzini Macy’s organizzò una parata il venerdì successivo al Giorno del Ringraziamento per festeggiare l’inizio del periodo natalizio. Il nome, da molti ritenuto indicativo dei conti in attivo dei commercianti grazie all’enorme mole di vendite, in realtà sarebbe stato coniato negli anni 60 dalla polizia di Filadelfia dopo la partita di football “Army vs Navi” (esercito contro marina) che aveva bloccato l’intera città per l’afflusso di migliaia di tifosi.

Le nostre difese

Oggi, indubbiamente, il termine è utilizzato per indicare il giorno (o meglio la settimana, vista la durata) in cui i negozi applicano dei fortissimi sconti sulla merce per invogliare i clienti ad acquistare incrementando così le proprie vendite. Insomma, una sorta di “giorno della cuccagna” in cui è possibile fare dei veri e propri affari.

Ma cosa succede se alla fine del “venerdì nero” ci si accorge di aver comprato qualcosa di troppo, o diverso da come ce lo si era immaginato? Niente panico, esiste il diritto di recesso, regolato dal Codice del consumo, e che riguarda la possibilità di restituire il bene senza una giustificazione.

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Non vale per gli acquisti in negozio

Va premesso, però, che il diritto di recesso vale solo per gli acquisti fatti a distanza, online o fuori dall’esercizio commerciale. Questo per tutelare il consumatore da possibili fregature in condizioni in cui vi è un’oggettiva difficoltà a controllare la merce o il servizio acquistato. Nel caso in cui si compri ad esempio un vestito direttamente al negozio, non si avrà alcun diritto al reso o alla sostituzione merce, a meno che non sia difettosa.

I distinguo sulla restituzione

Negli altri casi, il diritto di recesso prevede la possibilità di restituire il bene o recedere dal contratto di servizio entro 14 giorni dall’acquisto (o dalla stipula), senza nessuna penale. Nel caso il prodotto sia stato recapitato le spese di spedizione standard per riceverlo vengono rimborsate al consumatore, che invece è tenuto a pagare il costo per rimandare indietro il prodotto. Va detto che molti portali di e-commerce, come Amazon o Zalando, da tempo puntano a non far pagare nemmeno i costi di restituzione. Nel caso all’atto dell’acquisto il cliente non venga informato adeguatamente su tempistiche e modalità del diritto di recesso, questo viene esteso automaticamente a 12 mesi.

Attenti alle bugie del venditore

Come si fa ad ottenere il diritto di recesso, tramite una comunicazione scritta via raccomandata A/r, o tramite i form sul sito del venditore, ormai comunemente disponibili in tutti i maggiori portali e di più rapida efficacia.  Non esistono limiti minimi di prezzo sotto il quale non vale il diritto di recesso, e il venditore non può rifiutarsi di farlo valere se la confezione è danneggiata (l’importante è che non risulti ovviamente danneggiato il prodotto). Attenzione, però, perché esistono delle eccezioni per acquisti a distanza che non rientrano del diritto al recesso, come indicato dall’articolo 59 del Codice del consumo. Tra questi i servizi già espletati completamente al momento del reclamo, gli alcolici, le riviste, i prodotti realizzati su misura o quelli sigillati per motivi igienici.