Cosa finisce sulle nostre tavole? Partendo da questa domanda abbiamo acquistato nei supermercati della Capitale e analizzato in laboratorio 9 campioni di zucchine e pomodori prodotti nell’Agro Pontino, tra Fondi, Terracina e Latina. La buona notizia è che non abbiamo trovato i principi attivi di pesticidi illegali scoperti dalle inchieste della magistratura e dal Nas di Latina. Una risposta positiva anche se non proprio inaspettata dato il canale di acquisto, la Grande distribuzione organizzata, come raccontato nelle pagine precedente molto più controllata di altre fonti di vendita. Tuttavia, come sempre, di fronte ai risultati sorgono alcune domande. In alcuni campioni abbiamo rinvenuto una presenza ricorrente di diversi residui e in un caso, un campione di zucchine, la presenza oltre i limiti di legge di chlormequat, un fitoregolatore che ha un profilo di rischio molto elevato. I risultati dei test così come l’inchiesta sulla filiera sporca che si sta espandendo al Sud sono pubblicati nel nuovo numero in edicola e digitale del Salvagente.
L’utilizzo di ormoni della crescita
Le zucchine sono uno dei prodotti più trattati. Parliamo del quarto ortaggio più consumato in Italia dopo le patate, i pomodori e le insalate e ne consumiamo ogni anno circa 250mila tonnellate a fronte di un’area di coltivazione estesa per oltre 15mila ettari da Nord a Sud della Penisola. Numeri che confermano quanto le zucchine siano presenti sulle tavole degli italiani e la coltivazione sia molto seguita dai produttori.
Sono diversi i trattamenti fitosanitari ammessi in questo tipo di coltura in campo e in post raccolta. Compreso il ricorso ai fitoregolatori ovvero l’utilizzo di ormoni sia vegetali di origine naturale (fitormoni) che di sintesi, chiamati in gergo regolatori della crescita. Parliamo di sostanze che stimolano anche l’accrescimento degli ortaggi (non solo delle zucchine visto che vengono impiegati anche nella coltivazione di pomodori, peperoni e melanzane) e vengono utilizzati anche per avere prodotti di “taglia” simile o più standardizzata. I fitoregolatori della crescita stimolano la fruttificazione e applicati in campo favoriscono l’ingrossamento degli ortaggi da frutto. Una differenza sostanziale fra i fitoregolatori artificiali e quelli naturali consiste nel fatto che i secondi possono essere controllati dal metabolismo della pianta e vengono eliminati abbastanza rapidamente, mentre quelli artificiali persistono di più nell’organismo vegetale.
La finalità del loro impiego può essere molto diversa: vengono usati per aumentare la colorazione dei frutti, la dimensione, per diradare la crescita dei frutti stessi ed evitare sovrapposizioni che possono favorire marcescenze, ma anche per favorire (o ritardare) la crescita di un prodotto ortofrutticolo in modo tale da controllare e rendere più omogenee le produzioni in campo o in serra.
“Non c’è piena sicurezza dell’uso”
In Italia non sono molti i principi attivi autorizzati nelle varie colture con finalità di regolazione della crescita dei vegetali ma, a differenza dell’impatto sulla salute umana di alcune categorie di pesticidi, sono poco studiati gli effetti sulla salute umana che i fitoregolatori, specie di origine artificiale, possono causare. Eppure già negli anni Ottanta la ricerca “Tossicità dei fitoregolatori” condotta dall’Università di Firenze metteva in guardia dalle possibili conseguenze sull’organismo umano. Seppure gli autori tendevano a escludere una tossicità acuta questo, sottolineavano, “non vuol dire piena sicurezza d’uso; esistono infatti gli eventuali effetti legati a una utilizzazione ripetuta, anche se di dosi molto basse, con particolare riferimento a una azione tossica cronica e a una eventuale azione mutagena e cancerogena”, si legge nell’abstract della ricerca contenuta nel database accademico on line JStor. Gli autori tuttavia concludevano raccomandando “una continua cautela nella utilizzazione di queste sostanze, soffermandosi sul problema dei residui e di una eventuale cotossicità e sottolineando la necessità di costanti e ulteriori ricerche in questo settore”.
Dove non è arrivato il principio di precauzione invocato dai ricercatori sembra però arrivare quello “di cassa”, visto che diversi esperti ci hanno spiegato che il ricorso a questi trattamenti costosi, non avendo avuto grandi riscontri sulle produzioni, si sono ridotti negli ultimi anni. Anche se non sono spariti.
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