Nonostante si registri un calo della mortalità, gli sforzi compiuti dall’Italia per combattere le infezioni resistenti agli antibiotici restano troppo deboli e la percentuale di decessi in Italia per questo tipo di cause resta la più elevata nell’Unione europea.
A decretare questo triste primato è l’ultimo rapporto stilato dall’Iss, l’Istitito superiore di sanità, “AR-ISS, Sorveglianza nazionale dell’Antibiotico-Resistenza”, in cui si legge: “In Italia, gli ultimi dati disponibili mostrano che i livelli di antibiotico-resistenza e di multi-resistenza nelle specie batteriche sotto sorveglianza sono ancora molto alti, evidenziando un importante problema di sanità pubblica. Infatti, nonostante gli sforzi per la riduzione del fenomeno, le azioni messe in campo finora in ambito nazionale sono risultate per il momento insufficienti a contrastarlo efficacemente”.
Appena pochi giorni fa l’Ocse ha consigliato all’Italia di ridurre il consumo di farmaci antibiotici, specificando che l’alta prescrizione di questi medicinali contribuiscono “potenzialmente a tassi più elevati di resistenza antimicrobica“.
Nello specifico, si legge in una nota dell’Iss sul report diffuso, “In Italia, nel 2018, le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza (Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter species) si mantengono più alte rispetto alla media europea, pur nell’ambito di un trend in calo rispetto agli anni precedenti”.
Ha spiegato Annalisa Pantosti, responsabile della Sorveglianza AR-ISS: “Purtroppo, il nostro paese detiene il triste primato, nel contesto europeo, della mortalità per antibiotico-resistenza. Infatti, dei 33.000 decessi che avvengono in Europa ogni anno per infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici, oltre 10.000 succedono in Italia“.
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Venendo ai dati di dettaglio, le percentuali di resistenza alle cefalosporine di terza generazione (29%) e ai fluorochinoloni (42%) in Escherichia coli si sono confermate di gran lunga maggiori rispetto alla media europea, anche se in leggero calo rispetto agli ultimi anni. Si è osservata, si legge ancora nella nota dell’Iss, una diminuzione significativa nella percentuale di isolati di Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi, che sono passati dal 37% nel 2016 al 30% nel 2018, mentre per E. coli, anche se il valore si è confermato molto basso (0,6%), è risultato in leggero aumento rispetto agli anni precedenti. La resistenza ai carbapenemi è risultata frequente, anche se in diminuzione, nelle specie Pseudomonas aeruginosa (16%) e Acinetobacter (82%).
Per Staphylococcus aureus, la percentuale di isolati resistenti alla meticillina (MRSA) si è mantenuta stabile intorno al 34%, mentre incrementi significativi si sono riscontrati nella percentuale di isolati di Enterococcus faecium resistenti alla vancomicina, passata dal 6% nel 2012 al 19% nel 2018. Per Streptococcus pneumoniae si è osservata una tendenza alla diminuzione sia per la percentuale di isolati resistenti alla penicillina che per quelli resistenti all’eritromicina.
L’Italia centrale è l’area con maggiore incidenza di casi segnalati ed è l’unica ad aver mostrato un aumento del tasso di incidenza rispetto al 2017: 4,4 casi su 100.000 residenti (nel 2017 erano 3,8 su 100.000), seguita dal Sud e dalle Isole (3,1 su 100.000 residenti) e dal Nord (2,8 su 100.000 residenti). Nel Centro, la Regione con la più alta incidenza è il Lazio (5,9 su 100.000 residenti), nel Sud e Isole la Puglia (6 su 100.000 residenti) e nel Nord l’Emilia-Romagna (5,2 su 100.000 residenti).