Scuola, il sostegno dimenticato

Prima della campanella è suonata forte la protesta delle famiglie: per tutti gli studenti italiani, ma in particolare per quelli che hanno bisogno di sostegno, è previsto un anno se possibile peggiore al precedente. Sono un milione i lavoratori della scuola, tra docenti e personale Ata (amministrativi e collaboratori); circa 800mila i primi e 200mila gli altri. Ogni anno va in pensione una percentuale pari al 4%, “e ogni anno abbiamo 40/50mila ammanchi”, scandisce Antonello Giannelli, presidente di Anp, l’Associazione nazionale presidi. “Ogni anno – aggiunge – abbiamo il problema di trovare i supplenti e spesso si riesce a raggiungere una situazione definitiva solo intorno a dicembre”. A questo deficit endemico si aggiunge quello dei 40mila sul sostegno, da sempre enormemente meno del fabbisogno. “Il serbatoio è di poche migliaia di unità, anche dopo che si saranno formati coloro che stanno seguendo in questi mesi i corsi di formazione appena avviati”, spiega ancora il presidente di Anp.

A conti fatti

A conti fatti dai sindacati anche dopo gli annunci lanciati dal Miur, il ministero dell’Istruzione, la scuola a settembre inizierà con migliaia di cattedre vuote. Di certo i posti da coprire, secondo la Flc Cgil, sono 121.959, “Il governo ha promesso l’immissione in ruolo di 58.627 docenti, di cui 14mila e 500 sul sostegno; sarà comunque sempre un contingente insufficiente”, attacca Manuela Pascarella della segreteria nazionale di Flc-Cgil. La richiesta da parte del Miur è stata girata al Mef (ministero dell’Economia e finanze) che a fine luglio ne ha autorizzati 53mila, 5 mila in meno. Si procederà con le usuali supplenze annuali che si stabilizzeranno nella maggior parte dei casi solo a scuola iniziata da molto. Va da sé che la continuità – un valore per tutti gli studenti – resta una chimera per molti, e i più penalizzati, ancora una volta, saranno gli studenti affetti da problematiche di vario tipo, da quelle più semplici alle più gravi.

 

Mancano docenti di sostegno specializzati

Oltretutto, per quanto riguarda il sostegno, uno dei problemi più seri è quello relativo alla mancanza non solo di insegnanti tout court, ma di persone formate. “Per quanto posso vedere, l’inizio dell’anno per i ragazzi come mio figlio, sarà tragica”, è l’opinione di Flavia Improta, mamma di un ragazzo ipovedente e genitore membro della consulta handicap del III Municipio del Comune di Roma. “Il tema della mancanza di docenti specializzati è serio perché è evidente che ogni problema va affrontato in modo diverso; se ho mal di pancia non prendo una medicina per il mal di testa. Ecco: dovrebbe essere data la stessa risposta anche a scuola”. Invece, racconta Improta, a causa di questa mancanza, succede che in certe scuole si ricorra a soluzioni che sono “illegali”, come “le aule di sostegno: un ragazzo disabile deve stare in classe e avere un insegnante di sostegno adeguato e un operatore altrettanto capace; poi è evidente che non trascorrerà, a seconda dei casi, tutto l’orario scolastico nella classe, ma non lo si può portare altrove senza neanche farlo passare dalla sua classe”. O come un monte ore inadeguato che si riesce a ottenere in modo completo solo facendo ricorso e vincendolo. Certo è che anche il lavoro che si fa a monte è fondamentale per la crescita serena di un ragazzo a scuola a fuori da scuola, ovvero il riconoscimento del problema, come sta accadendo nel caso dei ragazzi con Dsa (Disturbi specifici di apprendimento), oggi di più facile diagnosi: questo fa sì che non siano più considerati tutti degli svogliati, come accadeva spesso in passato.

Le richieste: continuità e formazione

La Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap), dal canto suo, ha in atto un confronto con il governo sul fronte dei correttivi al decreto legislativo 66 del 2017 sulle “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”. Sono vari gli aspetti su cui la Fish insiste e ha evidenziato nelle audizioni alla VII Commissione Istruzione: “Noi chiediamo ad esempio di intervenire con l’applicazione dell’obbligo formativo anche per i docenti curriculari, cosa che non avviene mai perché si relega tutto al sostegno, tradendo di fatto l’essenza stessa dell’integrazione scolastica”, sottolinea Salvatore Nocera di Fish. Altro punto importante quello della continuità, che manca: “Deve diventare una condizione imprescindibile, sia per ciò che riguarda i docenti sia per ciò che concerne gli operatori educativi per l’autonomia e la comunicazione (Oepc)”. Ma nel decreto 66 si fa menzione solo della scuola primaria e di quella dell’infanzia. Oepc e trasporti, poi, sono a carico degli enti locali e, nel bel mezzo dell’estate, alcune regioni non avevano ancora bandito i concorsi per quel servizio.

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