Sfiorano il milione, ben 810mila solo a fine 2018, i prosciutti di Parma e San Daniele sequestrati e “smarchiati” su ordine delle Procure di Torino e Pordenone perché ottenuti con maiali danesi, razza Duroc, non ammessi dai disciplinari dei Consorzi di tutela.
I numeri sono quelli del rapporto 2018 dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf) del ministero per le Politiche agricole, e confermano quanto raccontato nell’inchiesta pubblicata dal Salvagente lo scorso giugno che questa sera la trasmissione Report di Rai Tre ripercorrerà con documenti filmati esclusivi.
Tutto è partito nel 2017 da due distinte operazioni avviate a tutela dei prosciutti a marchio Dop, dirette dalle Procure della Repubblica di Torino e Pordenone. Nello specifico, circa 480mila prosciutti esclusi, tramite smarchiatura, dal mercato delle produzioni a Dop; oltre 500mila cosce smarchiate d’iniziativa da parte di singoli allevatori.
Sono 300 invece le persone coinvolte nelle indagini, con 38 persone e 16 società rinviate a giudizio dalle Procura di Torino e Pordenone, accusate di vari reati come associazione per delinquere, frode in commercio nella forma aggravata, trattandosi di prodotti agroalimentari a denominazione di origine protetta, contraffazione di marchi, truffa ai danni di Ente pubblico, rivelazione di segreto d’ufficio.
Il ministero delle Politiche agricole poi l’anno scorso ha sospeso le attività di due enti di certificazione, l’Ipq e la Ifcq, che si occupavano di verificare rispettivamente la conformità dei prosciutti ai disciplinari del Parma e del San Daniele.
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La truffa sui gioielli Dop: com’è cominciato il tutto
(Pubblicato nel numero di giugno 2018)
Questo è un viaggio criminale che parte da un laboratorio e finisce nei piatti degli italiani. La storia di una truffa che ha proiettato ombre lunghissime su due dei prodotti nostrani più conosciuti nel mondo, il prosciutto di Parma e quello San Daniele. Una truffa che inizia all’incirca nel 2014, che potrebbe aver indotto i consumatori a spendere di più per un prosciutto non Dop e che nasce con una fialetta e una fattura falsificata. Nel contenitore, dicono i documenti contabili, ci dovrebbe essere sperma di maiale di razza “duroc italiano” destinato all’inseminazione di animali destinati alla lavorazione di cosce su cui verranno poi impressi i due famosi marchi Dop.
È un falso, però, perché in realtà quel liquido seminale appartiene a elementi di razza “duroc danese”, inutilizzabile secondo le norme del disciplinare che regolano la produzione di prosciutti di Parma e San Daniele.
Sono animali che crescono più in fretta, raggiungendo il peso previsto per la macellazione almeno uno o due mesi prima, e con una percentuale corporea di massa grassa molto più bassa. Significa che gli allevatori risparmiano tempo e soldi e possono mettere sul mercato un prodotto meno grasso e per questo, si dice, più ricercato dai consumatori. Di sicuro, però, è un prodotto che non potrebbe fregiarsi dei marchi Parma e San Daniele. Anche gli allevatori sanno che quanto scritto sulle fatture è falso, e loro stessi nei successivi passaggi della filiera verso i macelli e i prosciuttifici, falsificando i documenti contabili, continueranno a spacciare per “duroc italiano” animali che invece non lo sono. Quello che non sanno, probabilmente, è che per rendere più solida e credibile la truffa, i responsabili della vendita del liquido seminale hanno addirittura indicato sulle fatture una provenienza genetica completamente fittizia attribuendo la paternità dello sperma ad animali vivi solo sulla carta visto che sono morti da anni. Questo, però, la Procura di Torino lo scoprirà soltanto più tardi, a cavallo fra il 2016 e il 2017, quando metterà sotto inchiesta con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla frode commerciale sette persone a diverso titolo legate a due centri di produzione di materiale seminale suino, uno nel bolognese l’altro nel cuneese.
È intercettando le telefonate fra i sette indagati e scandagliando minuziosamente le fatture di vendita che gli inquirenti guidati dal procuratore di Torino Vincenzo Pacileo, erede di Raffaele Guariniello alla guida del gruppo della procura del capoluogo piemontese specializzato nella tutela degli ambienti di lavoro, dei consumatori e dei malati, nel febbraio del 2017 sono arrivati a bussare alle porte di almeno 140 allevamenti di suini sparsi per tutto il Nord Italia con in mano un decreto di sequestro per circa 300mila cosce di prosciutto (220mila destinate al consorzio di Parma, le altre 80mila al San Daniele) per un valore superiore ai 90 milioni di euro. Il 10% della produzione annua a marchio dei due consorzi, in pratica (a fine 2018 le cosce smarchiate e sequestrate saranno quasi un milione, ben oltre il 20% dell’intera produzione annua dei due Dop). Un terremoto in grado di mettere in ginocchio l’intera filiera.
Prosciuttopoli
Quattordici mesi dopo quei sequestri, gran parte di quelle cosce sono ancora bloccate nei magazzini nonostante quasi tutti i circa 140 allevatori indagati, con accuse che vanno dalla frode in commercio al falso, dalla contraffazione dei marchi alla truffa ai danni dell’Unione europea, abbiano di fatto ammesso davanti alla procura le proprie responsabilità. E a Pordenone, nel frattempo, la magistratura ha aperto per competenza territoriale una inchiesta gemella che ipotizza gli stessi reati.
L’onda lunga dello scandalo, però, è arrivata sino a Roma nelle stanze del ministero delle Politiche agricole che dopo una lunga istruttoria durata mesi nell’aprile scorso ha sospeso per sei mesi la licenza ai due enti di certificazione che si occupano di vigilare sul Prosciutto di Parma e sul San Daniele. Perché di sicuro, è la tesi dei tecnici ministeriali dell’Icqrf, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, qualcosa nel sistema di vigilanza non ha funzionato. Il sospetto è che molti in questi anni si siano voltati dall’altra parte mentre una pratica, ben conosciuta, si strutturava fino a diventare sistema.
Per questo dal 1° maggio l’attività dei due centri è stata di fatto commissariata dal ministero e ogni procedura di controllo rivista sotto indicazioni operative ben precise. Che qualcosa non abbia funzionato è sotto gli occhi di tutti, anche se i consorzi minimizzano. “Nessuna coscia dei maiali provenienti dagli allevamenti coinvolti è diventata né diventerà prosciutto di Parma ed eventuali cosce in stagionatura sono state facilmente identificate e, se del caso, distolte dal circuito”, spiegano da Parma. “Questa occasione dimostra ancora una volta il fatto che i sistemi di controllo in Italia sono capaci di rilevare anche le irregolarità più difficili da intercettare (come in questo caso) e di porvi rimedio prima che queste diventino un danno per i prodotti o per i consumatori, costituendo un’efficace tutela per tutti”, fanno eco a San Daniele del Friuli. Ma è davvero così? O piuttosto, se come ipotizza l’inchiesta la truffa era in atto almeno dal 2014, è impossibile assicurare che nulla sia sfuggito ai controlli prima che i sequestri del febbraio 2017 accendessero un faro sulla vicenda?
Richiesta di risarcimento
Di sicuro, al momento, c’è che gran parte di quei 300mila prosciutti, il 10% della produzione nazionale, sono bloccati (saliranno a 810mila a fine 2018). La magistratura ha concesso il dissequestro per quasi tutti gli allevamenti ma perché i prodotti possano essere messi in commercio devono essere sottoposti alla procedura di “smarchiatura”, ossia di rimozione del marchio dei consorzi Dop impresso a fuoco sulla cotenna. Soltanto a quel punto il prosciutto potrà essere venduto regolarmente ma senza denominazione di origine protetta. Ma le operazioni, denunciano gli allevatori, procedono molto a rilento.
In compenso vanno spedite le richieste di risarcimento danni che prosciuttifici e macelli hanno mosso nei confronti di quegli allevatori coinvolti nell’inchiesta che hanno falsificato la documentazione di accompagnamento delle cosce di maiale certificando, fraudolentemente, che si trattasse di “duroc italiano” adatto a entrare nel circuito del Parma e del San Daniele. Azioni risarcitorie che in queste settimane si stanno chiudendo ad una cifra che oscilla fra i 50 e i 60 euro a prosciutto da smarchiare.