La lingua italiana pur nella sua bellezza, talvolta, non riesce immediatamente a far risaltare la differenza tra parole che sembrano sinonimi fra di loro.
Questa premessa ci serve per discutere dei termini “rischio” e “pericolo” che solo a prima vista sembrano del tutto sovrapponibili.
Il termine pericolo si riferisce a una proprietà intrinseca o a un determinato fattore che potenzialmente può causare dei danni ad esempio il coltello per tagliare del pane rappresenta il “pericolo”.
Il danno che ne consegue è la ferita che potremmo farci per distrazione. Allora come si può definire e che significa il rischio?
Il rischio è il risultato solo matematico avuto per moltiplicazione tra il pericolo di tagliarsi col coltello e la gravità della ferita che ci possiamo provocare. Conoscere il rischio a cui siamo esposti significa conoscere e valutare la probabilità che si verifichi la situazione di pericolo, il danno che si può ricevere e adottare delle misure di prevenzione (ad esempio asciugare bene il manico del coltello prima di usarlo).
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Il rischio alimentare
Nel caso dei rischi alimentari, che certamente sono per tutti noi prioritari se non altro perché tutti mangiamo, si può fare un discorso statistico o probabilistico ma è sempre necessario comprendere l’affidabilità dei dati, capire l’esposizione al pericolo e il danno a breve, medio e lungo termine.
Per gestire il rischio debbo però conoscere le fonti di pericolo, purtroppo queste fonti sono in continua evoluzione, sono spesso inaspettate, dipendono dalla copresenza di più pericoli come ad esempio affettare con un coltello affilato, usando mani unte e questo comporta un rischio maggiore e un danno di certo superiore.
Pesticidi, micotossine ed effetti imprevisti
La valutazione di molecole naturali e non negli alimenti ci fa comprendere meglio le fonti di pericolo: conoscendo i danni a cui si va incontro, per effetti sinergici, additivi, cocktail o per la sola copresenza, possiamo calcolare il rischio.
Conoscere quanto è rischioso un comportamento ci fa poi decidere le misure di prevenzione, i limiti di presenza più o meno restrittivi, l’uso di metodologie di cottura o trasformazione diverse rispetto a quelle attuali, la scelta di tecniche agronomiche ad hoc etc.
Il primo compito per chi si occupa di sicurezza alimentare è dunque valutare il rischio, il che significa monitorare, sorvegliare, evidenziare molecole inattese e non, per poi valutare i danni e definire i rischi.
Due approcci opposti: Europa e Stati Uniti
Queste attività sono così importanti che l’Unione europea ha creato nel 2003 l’Efsa per identificare, valutare, gestire e comunicare il rischio alimentare in maniera univoca e non ripetere gli errori del passato dove chi lo identificava poteva gestirlo e caso mai nasconderlo ai consumatori.
Gli Stati sono sovrani possono comunque adottare delle misure a protezione della salute pubblica ovvero delle misure di salvaguardia purché in linea con le regole comunitarie.
Negli Usa non vige il principio di precauzione e chi valuta il rischio lo gestisce seguendo la logica che un alimento è sempre sicuro sino a prova contraria, alla stregua di un indiziato di reato.
Gli europei invece dovrebbero cercare le misure preventive per non “tagliarsi con il coltello” e non attendere il danno per poi calcolare il rischio che deriva dal pericolo.
Diceva Paracelso che “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit” ovvero la dose fa il veleno, ma è una visione ristretta e miope che non calcola il rischio di ingerire qualcosa se non collegandolo alla sola quantità, ricordiamoci che circa 5 litri di acqua bevuti in un solo colpo possono essere mortali, per cui piccole dosi non possono provare alcun danno ma non tiene conto del “tutto” ovvero di altre molecole, della popolazione che lo consuma, degli effetti di copresenza, delle trasformazioni dovute ai processi di conservazione ad esempio etc.
Direi che si può considerare Paracelso è un ottimo punto di partenza ma è oggi quantomeno superato.