Oggi, 15 marzo, centinaia di migliaia di giovani marceranno in tutto il mondo per spingere i governi e le istituzioni internazionali a impegnarsi seriamente contro il riscaldamento globale. Manifestazioni previste in oltre 1300 città del mondo, 140 solo nel nostro paese (e davanti Montecitorio). Il simbolo della protesta, e la prima promotrice, la 16enne Greta Thunberg, è stata proposta per il nobel per la pace, nelle stesse ore in cui l’Onu diffonde dati scioccanti: un quarto delle morti premature e delle malattie nel mondo è collegato all’inquinamento provocato dall’uomo. Quando si parla di emissioni inquinanti e gas serra, si pensa comunemente alle autovetture e al petrolio. Ma in pochi sanno che le cinque più grandi aziende di carne e latticini sono responsabili di più emissioni annuali di gas serra rispetto ai colossi petroliferi. La notizia, dovuta a uno studio scientifico. Nello specifico, le emissioni complessive di JBS, Tyson, Cargill, Dairy Farmers of America e Fonterra superano quelle di ExxonMobil, Shell o BP, mentre le emissioni combinate delle 20 maggiori compagnie di carne e latticini superano le emissioni di intere nazioni come Germania, Canada, Australia o Regno Unito.
Quasi la metà di gas dai paesi con il 15% di popolazione
Come riporta Euractiv, il rapporto, intitolato “Emissioni impossibili – Quanto i big della carne e dei prodotti lattiero-caseari stanno surriscaldando il pianeta”, è stato redatto dall’Istituto per l’agricoltura e la politica commerciale (IATP) un organismo internazionale che si occupa di ricerva e dall’Ong Grain, secondo cui: “A differenza delle loro controparti nel settore energetico, le grandi aziende di carne e prodotti lattiero-caseari hanno finora sfuggito al controllo pubblico del loro contributo al cambiamento climatico. La mancanza di informazioni pubbliche sull’entità delle loro impronte di gas serra è un fattore che contribuisce”. Tra le 35 maggiori aziende di carne bovina, suina, pollame e prodotti caseari del mondo, solo quattro società – NH Foods (Giappone), Nestlé (Svizzera), FrieslandCampina (Paesi Bassi) e Danone (Francia) – forniscono emissioni complete e stime credibili. Dal punto di vista geografico, continua Euroactiv sulla base del rapporto, la maggior parte delle emissioni di carne e latticini proviene dalle principali regioni esportatrici di carne e prodotti lattiero-caseari: gli Stati Uniti e il Canada; l’Unione Europea; Brasile e Argentina; e Australia e Nuova Zelanda Queste regioni rappresentano il 43% delle emissioni globali totali derivanti dalla produzione di carne e prodotti lattiero-caseari, anche se ospitano solo il 15% della popolazione mondiale.
Invertire la rotta
Secondo il rapporto: “Se energia, trasporti e altri settori riescono a ridurre le emissioni in linea con gli obiettivi di Parigi mentre le aziende di carne e prodotti lattiero-caseari continuano ad aumentare la produzione, il settore zootecnico rappresenterà una porzione sempre più grande del bilancio mondiale delle emissioni di gas serra di 13 gigatoni”.Secondo Shefali Sharma, direttrice dell’Istituto per l’agricoltura e la politica commerciale (IATP), non esiste dunque “carne a buon mercato”. “Per decenni, la produzione di massa di carne e prodotti lattiero-caseari è stata resa possibile dagli agricoltori pagati al di sotto dei costi di produzione, dai lavoratori sfruttati e dai contribuenti che pagano il conto per l’inquinamento dell’aria, della terra e dell’acqua causato da carne e latticini” e ha aggiunto “Il sovra-consumo è direttamente collegato alle sovvenzioni che forniamo all’industria per continuare a deforestare, esaurire le risorse naturali e creare un importante rischio per la salute pubblica attraverso l’uso eccessivo di antibiotici”. I curatori del rapporto chiedono dunque agli Stati e all’Ue d’impegnarsi concretamente a favore di una transizione verso sistemi agricoli e alimentari sostenibili, a partire dallo sviluppo di filiere alimentari corte