“Il numero dei bambini che riceve una diagnosi di disturbi della comunicazione o di apprendimento in Italia è ancora molto inferiore a quanto stimato a livello internazionale”.
Deny Menghini, psicologa dell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, non ha dubbi sul fatto che quella che osserva a livello professionale sia solo la punta di un iceberg.
E aggiunge: “Il fatto è che in Italia solo dagli anni 90 sono stati introdotti molti degli strumenti necessari per condurre una valutazione strutturata con criteri oggettivi. Prima non esistevano neanche protocolli di valutazione e linee guida per il trattamento. Inoltre, dal 2010 sono state redatte alcune leggi che hanno riconosciuto la presenza di disturbi, come, ad esempio, quelli di apprendimento, che prima venivano misconosciuti o trattati come problemi solo comportamentali o peggio, come svogliatezza o scarsa volontà di apprendere e impegnarsi”.
Quali sono i casi in cui effettivamente i bambini hanno bisogno di un supporto specialistico?
Ovviamente a seconda dell’età ci sono dei campanelli di allarme differenti. Nelle prime fasi di sviluppo il bambino può mostrare un ritardo nel linguaggio: quando ha un lessico estremante ridotto a 3 anni o non sembra sempre capire ciò che gli si chiede si dovrebbe contattare un esperto per capire se è necessaria una valutazione più approfondita. Un altro segnale da monitorare è quando il bambino evita l’interazione con l’adulto o con i coetanei o non mostra interesse nelle relazioni, preferendo restare isolato o giocare ripetitivamente con alcuni oggetti. Altre difficoltà riguardano invece l’attenzione e la capacità di rimanere concentrato su ciò che sta facendo. Quando il bambino non riesce a stare per più di due minuti su di un gioco, passa da un’attività all’altra, è in continuo movimento e non riesce a rispettare la minima regola dopo i 3 anni, varrebbe la pena di rivolgersi ad uno specialista.
Ci sono poi difficoltà nella lettura e scrittura, che il bambino può manifestare già al suo ingresso nella scuola primaria. Se la lettura, la scrittura o i calcoli sono attività molto faticose per il bambino, che tende ad evitare, o manifesta malessere prima di andare a scuola o durante le attività scolastiche si potrebbe essere in presenza di un disturbo dell’apprendimento, che andrebbe valutato con delle prove specifiche.
Secondo l’American Psychiatric Association (APA, 2013) i disturbi dello sviluppo devono essere presi in considerazione quando comportano una compromissione evidente nelle attività quotidiane e/o scolastiche e interferiscono quindi con il benessere del bambino, con la possibilità di stabilire relazioni valide e con il funzionamento globale.
Che difficoltà possono avere i bambini nelle relazioni con gli altri e nella comunicazione?
Una difficoltà nelle relazioni può essere segnalata dal mancato o ridotto interesse nelle relazioni sociali, dal ritiro sociale del bambino, da difficoltà nell’addormentamento, nel sonno, nell’alimentazione (ridotta o eccessiva), da malesseri fisici (come vomito o mal di pancia), da sentimenti di autosvalutazione, dalla tendenza a evitare situazioni e attività più complesse o da eccessiva preoccupazione per ciò che riguarda il contesto scolastico (ad esempio, essere interrogati, dover leggere ad alta voce in classe, essere rimproverati dalle insegnanti) o da ansia da prestazione anche per attività extrascolastiche.
Quali sono le cause?
I disturbi dello sviluppo o i disturbi emotivo-relazionali hanno spesso un’origine neurobiologica.
I problemi di comunicazione e di relazione sono legati a quelli di apprendimento o possono sfociare in essi?
In alcuni casi il bambino con un disturbo dello sviluppo o comportamentale può essere oggetto di svalutazione da parte degli insegnanti e/o dei compagni, subire ripetuti rimproveri ed evitare quindi di interagire con i compagni di classe o con i coetanei per paura di essere preso in giro o mortificato. Quando la difficoltà non viene riconosciuta, soprattutto nel caso di adolescenti, si osservano addirittura episodi di fobia scolare, con il rifiuto di frequentare la scuola e interruzione del percorso scolastico.
Quali consigli darebbe a un genitore per evitare che scambi una normale forma di timidezza in una “malattia” o per evitare che, al contrario, gli sfuggano dei segnali di allarme importanti?
Come genitore è importante osservare cambiamenti improvvisi nell’umore o nel comportamento del bambino e l’insorgenza di malessere o rifiuto per specifiche attività o contesti (ad esempio, frequentare la scuola, i coetanei, ecc.).
In caso di problemi conclamati di comunicazione o di difficoltà nell’apprendimento a chi bisogna rivolgersi?
In questi casi è importante intraprendere un percorso di valutazione rivolgendosi a centri specialistici (ad esempio, unità di neuropsichiatria infantile) del sistema sanitario nazionale o a centri convenzionati. La corretta valutazione di una eventuale difficoltà consente di rassicurare i genitori e il bambino e, nel caso in cui si riscontri un effettivo problema, consente di intraprendere una terapia mirata. In alcuni casi la tempestività consente alla scuola l’utilizzo di supporti didattici adeguati (come l’uso di tablet o del computer) e la dispensa da alcune attività scolastiche (come la lettura ad alta voce o la copiatura di testi), evitando al bambino frustrazioni e umiliazioni.
Da questi problemi i bambini escono con facilità?
Dipende ovviamente dal disturbo. In generale la difficoltà di base rimane, ma il bambino impara ad utilizzare delle strategie e dei meccanismi che permettono di ridurla o di aggirarla. L’aspetto essenziale da considerare è che il bambino sviluppi strategie che gli consentano di raggiungere un buon livello di autonomia, un adeguato senso di autoefficacia, la serenità emotiva, buoni rapporti sociali; in altre parole, un sereno sviluppo.