Venerdì 21 settembre, ore 4.30, prima dell’alba. Mi sveglio a causa degli strani bip che provengono da tutte le stanze di casa. Premo l’interruttore, ma la lampadina risponde con una luce fiochissima. Mi aggiro per casa con la torcia, ancora insonnolita, cercando di capire la provenienza di quei bip: il frigorifero, la televisione, il cordless… Le luci si accendono, ma poi si spengono subito o rimangono fioche.
Ma che diamine sta succedendo? Ieri non avevo la connessione ad Internet (e per la cronaca ancora non ce l’ho), oggi manca la corrente. Sono nella black list di tutti i fornitori di servizi italiani?
In pigiama, infilo le scarpe e vado a controllare il contatore al piano terra: il display lampeggia la scritta “V. bassa”. Il mio e quello del condominio. Lo stacco e riattacco e torno in casa. Niente è cambiato. Per evitare danni, stacco tutti gli apparecchi elettrici dalle prese.
Cerco una vecchia bolletta cartacea (le altre sono tutte nel computer in formato digitale), individuo il numero per i guasti e chiamo. Il servizio di E-Distribuzione è attivo 24 ore su 24, ma non oso sperare che qualcuno mi risponda all’alba.
Invece, dopo 2 minuti un operatore cortese e sveglio è lì ad ascoltarmi. “Le mandiamo subito un tecnico”. Alzi la mano chi non vorrebbe sentire questa frase ogni volta che chiede assistenza per un guasto. Sorpresa, e anche instupidita dall’alzataccia, chiedo conferma: “Per subito intende adesso?”. “Sì, certo. Possiamo chiamarla a questo numero di cellulare?”.
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Conclusa la telefonata, guardo l’ora: 4.45. Seeee, un tecnico a quest’ora! Mi rassegno e torno a letto, magari mi riaddormento.
Dopo 10 minuti squilla il cellulare. È il tecnico. “Sono a pochi metri da casa sua, può aprirmi, così evito di suonare e svegliare qualcuno?”. I miei figli, beatamente ancora nel mondo dei sogni, ringrazieranno a vita.
Ripresami dalla sorpresa, realizzo che sono in pigiama estivo (e quindi piuttosto minimal), capelli scarmigliati e occhi cisposi. Mi rendo presentabile in meno di un minuto ed esco chiavi in mano per aprire cancello e portone. E il tecnico è già lì, incrociamo lo sguardo, o meglio incrociamo i fasci delle nostre rispettive torce, perché è ancora buio.
Gli mostro i contatori, lui mi avvisa che per ora li staccherà e andrà a risolvere il problema alla cabina. Mi farà sapere.
Torno in casa e mi preparo ad una lunga attesa in compagnia di un libro (santo e-reader con luce incorporata, sennò manco il piacere della lettura!).
Dopo 15 minuti il tecnico mi chiama per dirmi di non preoccuparmi: “Sto andando via, ma non l’abbandoniamo, è arrivato il mio collega e andiamo a risolvere il guasto. Speriamo di riuscirci, altrimenti metà *** (la cittadina dove vivo) sarà senza corrente come lei”.
Nonostante la possibilità catastrofica prospettatami dall’uomo, mi sento tranquilla. Sono in buone mani, penso. E realizzo che questo è lo stato d’animo (e la condizione) in cui dovrebbe sentirsi un cittadino ogni volta deve affidarsi ad un ente, privato o pubblico che sia, per ricevere un servizio. Uno stato d’animo talmente raro che mi stupisco di provarlo.
Nel frattempo il sole sorge, la casa è meno buia: io sono ancora immersa nella lettura, quando la mia vecchia ma fedele sveglia a batteria suona e mi avvisa che ora di prepararsi per la giornata. Senza corrente, anche la colazione richiede un cambio di rituale.
Richiamo l’operatore: sono passate due ore e vorrei sapere se il guasto metterà in ginocchio la città, oltre che casa mia.
Mi risponde che stanno ancora operando: “Tra un quarto d’ora o avremo risolto oppure salterà tutto. La richiamo io per avvisarla. Se tutto va bene, potrà riattaccare il contatore. Qualora non fosse in casa, torno io a riattaccarlo”. Addirittura servizio a domicilio.
Dopo 12 minuti, arriva puntuale la telefonata. “Risolto, può riattaccare il contatore”.
E luce fu!
Nonostante l’ennesimo contrattempo e l’alzataccia, stamattina sono felice e contenta di pagare la bolletta della luce. L’aroma del caffè si diffonde per la casa: peccato non poterlo offrire a quel tecnico che per me è diventato un eroe.