A chi giova condannare a morte la sigaretta elettronica

Appena eletto. Nel primo Cdm utile. Nel Decreto dignità. Entro l’estate. In sede di legge di bilancio.

In appena nove mesi sono già cinque le scadenze prima annunciate e poi prorogate dal governo in materia di riforma del mercato degli strumenti di riduzione del danno, le cosiddette sigarette elettroniche. Una abnorme imposta di consumo sui liquidi di ricarica – circa 5 euro su un flacone da 10 millilitri del valore alla produzione inferiore ai 50 centesimi – nell’ultimo anno ha fatto precipitare i consumi del 40 per cento. Alcune aziende di produzione hanno avviato le procedure di mobilità del personale, conseguenza non soltanto dell’imposta attuale ma soprattutto del debito pregresso, quello cioè accumulato nei due anni di sospensione della tassa come deciso in un primo momento dalla Corte costituzionale per poi invece definirla legittima. In punta di diritto, la Consulta ha precisato che l’interesse erariale dello Stato può giustificare la pressione fiscale di scopo. Il contestuale assoggettamento della rete vendita al monopolio e la messa al bando degli shop online hanno fatto il resto. Gli effetti delle norme fiscali e legislative sono stati disastrosi su tutti i fronti: economico, erariale, sanitario.

Un favore a Francia, Spagna e Germania

Una economia nazionale fiorente, nata dal basso e cresciuta per volontà del consumatore, sino all’anno scorso produceva un giro d’affari di circa 600milioni di euro, attestandosi in Europa dietro solo al Regno Unito e nel mondo a Cina e Stati Uniti. Negli ultimi dieci mesi, invece, c’è stato un crollo che appare ancora inarrestabile: ad approfittare dello stallo e della difficoltà del made in Italy sono state le aziende francesi, spagnole e soprattutto tedesche che hanno guadagnato importanti fette di mercato. Le casse dello Stato però non hanno trovato giovamento da questa situazione. Ipertassare non significa avere la certezza di iper-incassare. Anzi, il risultato è stato esattamente l’opposto. A fronte di un preventivo da 115 milioni di euro, l’anno passato nelle casse erariali sono entrati 5 milioni scarsi. La lungimiranza e il buon senso avrebbero consigliato di tassare poco per incassare da tutti. Il risultato invece è stato disastroso: il mercato ha risposto con una inversione di tendenza: da ipotetico prodotto di massa, la sigaretta elettronica è diventata un prodotto di nicchia. E meno svapatori significa, naturalmente, più fumatori, così come confermato dall’Istituto superiore di sanità in occasione dell’annuale rapporto sul fumo. Per la prima volta in undici anni il numero dei fumatori non è sceso ma è cresciuto, raggiungendo il 23,4 per cento degli italiani che corrisponde in valore assoluto a 11,7 milioni di persone. Numeri che riportano l’Italia ai dati del 2007, vanificando così il lavoro svolto nell’ultimo decennio.

All’estero si pensa alla salute, qui alla cassa

Ma solo in Italia si parla di sigaretta elettronica e si pensa alla tassa. Nel resto dell’Europa il dibattito è incentrato sulla salute e sulla sanità. A partire dalla ottava edizione della Conferenza delle parti che dal 1° ottobre avrà luogo a Ginevra. Tutti gli attori economici e istituzionali si confronteranno sul futuro degli strumenti di riduzione del danno, delineando il quadro e tracciando le linee programmatiche per il prossimo biennio. Nel Regno Unito, dove la sigaretta elettronica è considerato il principale strumento per smettere di fumare, Public Health England (l’omologo del nostro Istituto superiore di sanità) ha quantificato in percentuale la riduzione del danno: fatto 100 quello delle sigarette tradizionali, l’ecig non supera 5, abbattendolo dunque del 95 per cento. Dato che non ha bisogno di commenti. Il parlamento britannico, inoltre, ha da poco concluso una indagine conoscitiva sulla sigaretta elettronica a fini legislativi: dopo avere interpellato i maggiori rappresentanti della comunità scientifica internazionale ed esaminato le evidenze emerse, ha concluso che le istituzioni devono adoperarsi per incoraggiare i fumatori a passare al vaping. Questo vuol dire che i medici devono consigliarlo ai propri pazienti fumatori mentre lo Stato non deve tassarlo per consentirne la maggiore diffusione possibile, né sottoporlo alle limitazioni del fumo tradizionale.

Minori e sigaretta elettronica

L’agenda europea delle organizzazioni multilaterali di sanità è ora occupata dal dibattito sul rapporto tra fumo e minori. La parte più oltranzista reputa che le sigarette elettroniche introducano i ragazzi al fumo, richiamando la teoria del gateway effect. Ad attrarli sarebbero i gusti dolci dei liquidi di ricarica. Tesi introdotta nel dibattito dalla Fda statunitense, che sta addirittura valutando di mettere al bando tali aromatizzazioni. In Europa però vige la Direttiva europea sui tabacchi e prodotti liquidi da inalazione, recepita dall’Italia a gennaio del 2016 che prescrive regole ferree per i produttori a garanzia e tutela dei consumatori. Ogni nuovo liquido deve essere notificato al ministero della Salute sei mesi prima di essere immesso in commercio. Ma probabilmente, secondo le organizzazioni sanitarie, tutto questo non basta ad allontanare i giovani dalla sigaretta elettronica. Secondo l’Istituto superiore di sanità, il 10 per cento dei ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17 anni è fumatore abituale. Eppure in Italia vige il divieto di vendita dei tabacchi ai minori. Se fumano ugualmente, è perché qualcuno vende loro il pacchetto di sigarette. Probabilmente per contrastare una cattiva abitudine non servono i divieti – d’altronde i giovani sono ribelli per definizione. Servirebbe invece una sana presa di coscienza che tra il male assoluto e l’astinenza ci sono anche altre sfumature e non è possibile obbligare i cittadini per legge a smettere di colpo di fumare. Sostenendo, incentivando e favorendo la diffusione della sigaretta elettronica, lo Stato potrebbe triplicare i benefici: abbattere la spesa sanitaria da malattie da fumo; incassare attraverso i versamenti dell’Iva la somma mancante dalle previsioni erariali; ridare vitalità un settore economico dal potenziale giro d’affari vicino al miliardo di euro.

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La Legge di bilancio è l’ultima possibilità per riformare il comparto. Se nulla accadrà, avranno vinto ancora una volta i venditori di fumo, sia nei fatti che a parole.