Oxfam: ai lavoratori e produttori solo il 5% del prezzo pagato al supermarket

Di quello che paghiamo alla cassa, i supermercati trattengono, in alcuni casi, il 50% mentre ai lavoratori e produttori va un risicato 5%. L’Oxfam ha pubblicato oggi il rapporto “Maturi per il cambiamento” in cui analizza le politiche di alcune tra le maggiori catene di supermercati in Europa e negli Stati Uniti. Due sono le catene che operano anche in Italia, Aldi e Lidl, mentre per avere una visione sui marchi italiani (Conad, Coop, Esselunga, Gruppo Selex, Eurospin) bisognerà attendere ottobre.

“La disuguaglianza – spiega Oxfam – dilaga inesorabilmente nell’economia globale e il settore agroalimentare non fa eccezione. Al vertice della piramide, i grandi supermercati e i giganti dell’agroalimentare dominano il mercato globale del cibo spremendo fino all’osso le lunghe filiere di produzione per trarne il massimo profitto; alla base, una costante erosione del potere contrattuale dei produttori di piccola scala e dei lavoratori in molti dei Paesi di origine dei prodotti. Il risultato di questi trend paralleli è la sofferenza umana di cui sono vittime le donne e gli uomini che in tutto il mondo producono il cibo destinato ai supermercati”.

La classifica dei supermercati

La totalità dei 16 supermercati analizzati ha ottenuto punteggi molto bassi in tutte le aree tematiche prese in esame; i più bassi sono quelli relative ai temi “donne” e “Trasparenza e accountability”, il che dimostra come i supermercati debbano ancora migliorare molto per consentire la piena tracciabilità dei singoli passaggi che un prodotto compie dal campo allo scaffale. Si registra inoltre una disattenzione pressoché totale da parte dei maggiori supermercati, verso i problemi che colpiscono le donne nelle loro filiere.

  • Rispetto al tema “Trasparenza e accountability”, metà delle aziende analizzate presenta alcuni elementi di base per un’efficace gestione del rischio di violazione dei diritti umani nelle loro filiere, ma sono ancora poche le procedure adottate per una efficace due diligence. Nessuna delle aziende è stata in grado di dimostrare i risultati dei propri meccanismi di denuncia e reclamo, di avere una piena tracciabilità degli ingredienti chiave delle loro filiere e di monitorare i livelli salariali e di reddito e i livelli di disuguaglianza di genere. Punteggio più alto = 29% (Tesco), punteggio medio 5%, 13 aziende hanno conseguito meno del 10% e 8 di queste hanno ottenuto 0.
  • Sul tema “lavoratori”, l’analisi ha appurato che molte aziende si sono dotate di codici di condotta per cui tutti i loro fornitori devono prevedere salari dignitosi o la riduzione dell’orario di lavoro. Tuttavia, nessuna azienda fornisce alcun supporto concreto ai fornitori per ottemperare a tali disposizioni. Soltanto Sainsbury’s, verifica se il proprio operato impedisce ai fornitori di rispettare il suo codice. I punteggi più alti in quest’area tematica vanno alle tre aziende britanniche Tesco, Sainsbury’s e Asda (Walmart), nelle quali lo sviluppo di buone pratiche è stato favorito sia dalla lunga e attiva partecipazione all’Ethical Trading Initiative, sia dalla Legge sulla Schiavitù Moderna vigente nel Regno Unito. Punteggio più alto = 42% (Tesco), punteggio medio 12%, 8 aziende hanno conseguito meno del 10% e 5 di queste hanno ottenuto 0.
  • Sul tema “agricoltori”, l’analisi ha registrato un impegno limitato di tutte le aziende per sostenere gli agricoltori di piccola scala nelle loro filiere; i pochi sforzi in tal senso si limitano prevalentemente all’approvvigionamento di prodotti a marchio Fairtrade o in possesso di altre certificazioni, ma nessuna vanta azioni dirette per garantire redditi dignitosi ai contadini, rafforzare il loro potere contrattuale o per valutare l’impatto delle pratiche commerciali sui diritti umani degli agricoltori. Punteggio più alto = 17% (Sainsbury’s e Walmart), punteggio medio 6%, 13 aziende hanno conseguito meno del 10% e 3 di queste hanno ottenuto 0.
  • Le lacune maggiori si sono rilevate sul tema “donne” su cui tutte le aziende, ad eccezione di quattro, non hanno ricevuto alcun punteggio. Ciò indica chiaramente che l’intero settore delle vendite al dettaglio deve prestare maggiore attenzione ai problemi specifici e sistematici che colpiscono le donne lungo tutta la filiera e adottare misure concrete per risolverli. Walmart ha ottenuto un punteggio del 29% per l’impegno dimostrato nel rifornirsi da aziende gestite da donne e nel dare un sostegno diretto alle lavoratrici delle sue filiere. Un esempio lampante di cosa si può fare se c’è una chiara volontà aziendale ad agire. Punteggio più alto = 29% (Walmart), punteggio medio 3%, 14 aziende hanno conseguito meno del 10% e 12 di queste hanno ottenuto 0.

“Sfruttati”, il caso Italia

Nel nostro paese lo studio, realizzato da Oxfam Italia e Terra!, fotografa le condizioni di grave sfruttamento subite dai lavoratori che nelle campagne italiane raccolgono la frutta e la verdura destinata agli scaffali dei supermercati europei. Il rapporto sottolinea soprattutto le condizioni di vulnerabilità che affliggono donne e migranti, spesso reclutati da caporali e costretti a vivere e lavorare in condizioni inumane e degradanti. In particolare, il 75% delle lavoratrici nei campi intervistate da Oxfam, afferma di essere sottopagata e di rinunciare a pasti regolari. Il fenomeno non riguarda più solo stranieri, ma sempre più anche italiani: “Lavoriamo dalle 6 del mattino alle 6 di sera, tutti i giorni della settimana, per 25 euro al giorno. – racconta un bracciante maliano che lavora nelle campagne del meridione – Possiamo fermarci solo dieci minuti per mangiare”. In questa situazione versano centinaia di migliaia di persone. Secondo Oxfam l’80% sono lavoratori stranieri e il 42% donne, che a parità di tipologia di lavoro vengono sottopagate rispetto agli uomini. Oltre a lavorare fino a 12 ore al giorno, i lavoratori sono esposti a pesticidi tossici e a temperature altissime in estate e estremamente rigide in inverno in cambio di paghe medie tra i 15 e 20 euro al giorno, ben al di sotto del minimo legale di 47 euro al giorno.

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