Sulla Xylella è stato sbagliato l’intero approccio. O se preferite dirla alla Bartali “L’è tutto da rifare”. Pietro Perrino, genetista e componente della task force voluta dal governatore della Puglia Emiliano, non condivide nulla della tattica messa in campo sulla xylella. E certamente non condivide la strategia di pesticidi a pioggia decisa col decreto Martina, sul quale il nuovo ministro dell’Agricoltura ha detto di voler riflettere.
La convinzione di Perrino, che ha scritto un lungo documento pubblicato su Xylella Report è che la xylella non è la causa della malattia degli olivi in Puglia, al più è l’effetto di cause su cui nessuno ha deciso di prendere provvedimenti.
“La malattia si chiama Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO) ed è causata da criticità ambientali, che hanno determinato la sterilità del suolo” spiega il genetista. “Queste criticità durano da decenni e sono più forti proprio nelle aree focolaio del Salento, dove da anni la desertificazione è più evidente che in altre province della Puglia. C’è una stretta relazione tra inquinamento, desertificazione e CoDiRO”.
Una situazione conosciuta ma colpevolmente ignorata, spiega l’esperto: “Purtroppo, i responsabili delle istituzioni non vogliono vedere questa relazione e quindi non favoriscono modelli agricoli a basso impatto ambientale. Anzi, la cecità del nostro ministero dell’Agricoltura ha prodotto il Decreto Martina, che addirittura obbliga gli agricoltori all’uso massiccio di pesticidi”.
Cosa avrebbero dovuto fare di fronte a questa crisi? Perrino ha le idee chiare: “La soluzione del problema non è l’abbattimento degli alberi malati e non malati per contenere la diffusione della Xylella, ma il ripristino di buone pratiche agronomiche e agrotecniche di disinquinamento, già pronte sul mercato”.
Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente
Distruggere l’ambiente per affamare il batterio?
L’esperto riassume efficacemente quella che a suo giudizio è una decisione assurda: “Alcuni batteriologi ed entomologi, ritenendo che la causa del CoDiRO è principalmente la Xylella, un batterio da quarantena, e che il suo vettore o diffusore è la sputacchina, un insetto ubiquitario, hanno da subito suggerito che l’unico modo per bloccare la malattia è di contenere lo sviluppo dell’insetto con insetticidi, di distruggere le erbe spontanee con erbicidi o arature e di abbattere gli alberi d’olivo attaccati dal batterio, inclusi anche gli alberi che si trovano nel raggio di 100 metri intorno all’albero infetto. I cosiddetti esperti, in pratica, suggeriscono di distruggere l’ecosistema e la sua biodiversità per non dare da mangiare ai parassiti. Ha un senso tutto ciò? Oltre alla stupidità umana, si osserva una vera e propria lacuna nella comprensione dell’importanza della biodiversità nella resilienza degli ecosistemi”.
E invece, per il genetista “La causa non è la Xylella, come non lo sono i funghi e non lo sono gli insetti, ma, al più, si tratterrebbe di più cause, come specificato nella denominazione stessa della malattia: Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO). Il condizionale è d’obbligo, perché la mia opinione era e resta che le vere cause della malattia sono alcune criticità ambientali, cioè fattori che sono a monte della Xylella, dei funghi e degli insetti”.
La considerazione sulle vere cause è semplice: “Nei miei contributi ho più volte sottolineato che i patogeni, inclusa la Xylella, sono degli opportunisti e che possono diventare virulenti (aggressivi) soprattutto quando le piante d’olivo s’indeboliscono, diventando vulnerabili a tutti i fattori avversi, biotici, come lo sono tutti i parassiti, animali e vegetali (per es. la Xylella), e abiotici, come i cambiamenti climatici, tra cui le temperature, l’umidità, ecc., e la presenza di sostanze tossiche nell’aria e nel suolo. Le piante d’olivo, come tutte le piante, s’indeboliscono soprattutto quando non riescono più a nutrirsi normalmente, vivendo in un terreno sterile e/o inquinato (metalli pesanti, ecc.)”.
Effetto glifosato
Un ruolo importante nell’inquinamento lo ha il glifosato: “La letteratura internazionale, principalmente a cura di studiosi americani, ha ampiamente evidenziato, senza equivoci, che la molecola del glifosato, quella contenuta nell’erbicida Roundup (usato, da almeno tre decenni, dagli olivicoltori pugliesi e salentini in modo particolare, per eliminare le erbe spontanee che crescono negli oliveti, allo scopo di tenere pulite le aiole sotto gli alberi e quindi agevolare la raccolta delle olive dal suolo) è una sostanza che oltre ad uccidere le erbe, bloccando un enzima importante della catena metabolica, molto verosimilmente anche delle stesse piante d’olivo, uccide anche la microflora del suolo, ossida i microelementi, rendendoli indisponibili anche alle radici delle piante d’olivo, e stimola molti patogeni presenti nell’ambiente. La stessa cosa fa l’AMPA (acido amminometilfosfonico, metabolita primario del glifosato), un derivato del glifosato, che recentemente è stato trovato, insieme al glifosato, anche nell’acqua potabile di rubinetto di diverse Regioni italiane. Dai report delle istituzioni regionali si evince che in provincia di Lecce (aree focolaio dell’epidemia), il consumo di erbicida (il Roundup contenente glifosato) per ettaro è almeno quattro volte superiore a quello delle altre province pugliesi”.
Se a ciò si aggiunge che nel Salento quasi tutta l’acqua d’irrigazione proviene da acque di falda e si considera che il glifosato e il suo metabolita AMPA vengono quindi ripescati per continuare ad avvelenare l’ecosistema (pianta-suolo), l’effetto nocivo del glifosato si moltiplica e si ripete in modo perpetuo. Ciò dovrebbe aiutare a comprendere perché l’erbicida Roundup dovrebbe essere considerato uno dei fattori critici dell’indebolimento dei meccanismi di difesa delle piante d’olivo nelle aree focolaio del Salento, più che altrove”.
Gli olivi possono guarire
Il genetista disegna uno scenario differente basandosi su esperienze concrete. “Da quando è scoppiato il caso Xylella in Puglia, diversi olivicoltori che non hanno mai creduto alla favola del batterio, anche in collaborazione con alcuni batteriologi e micologi pugliesi e napoletani (privati e pubblici), hanno tentato di salvare le piante d’olivo affette da CoDiRO, con o senza Xylella, ripristinando le buone pratiche agricole su una superficie di oltre 60 ettari, localizzati in 23 Comuni dell’area focolaio, e in un tempo relativamente breve (1-2 anni), osservando una ripresa vegetativa significativa delle piante: una vera e propria guarigione. Alcuni di questi risultati sono stati già portati all’attenzione del pubblico nel 2015. A parte ciò, sono in arrivo anche i risultati di progetti di ricerca, finanziati anche dalla Regione Puglia a gruppi di ricerca composti da olivicoltori e ricercatori o esperti, che quasi certamente confermeranno la possibilità di arrestare la malattia. In pratica, le piante d’olivo malate possono essere salvate con buone pratiche agronomiche e trattamenti che restituiscono all’ecosistema l’equilibrio perso in seguito all’inquinamento, causato anche dall’uso trentennale d’insetticidi, fungicidi, acaricidi ed erbicidi”.