La falsa promessa delle certificazioni. Già dal titolo l’ultimo report presentato dalla sezione olandese della Ong Changing Markets Foundation non lascia dubbi sulla “inefficacia” che oggi rappresentano le certificazioni ambientali, come la famosa Ecolabel o la Rspo (Olio di palma sostenibile), Friend of the sea (pesca sostenbile) e Oeko Tex (tessile pulito). L’accusa è pesante: questi marchi “offrono una falsa promessa di sostenibilità, con particolare attenzione alla pesca, all’industria tessile e alla produzione dell’olio di palma.
Il tonno pescato con i Fad ma certificato
Nel 2015, accusa Changing Markets, il 14% della produzione mondiale di pesce è stato certificato, in gran parte da Friend of the Sea (Fos) e Marine Stewardship Council (Msc). Msc era già stata criticata ad agosto 2017 per aver certificato la più grande pesca al mondo di tonno albacares, il cosiddetto Pinne gialle, sebbene utilizzasse dispositivi di aggregazione dei pesci, i famigerati Fad, che catturano anche specie in via di estinzione, delfini compresi. Quanto a Fos, secondo il rapporto, non è supportato né dalla comunità scientifica né dalle Ong a causa della sua mancanza di trasparenza e di partecipazione delle parti interessate.
L’inganno dell’olio di palma: così non si ferma la deforestazione
La produzione dell’olio più consumato nel mondo non mostra risultati migliori. Il rapporto ha identificato sei “inefficaci” schemi di certificazione dell’olio di palma: l’etichetta volontaria più importante (Tavola rotonda su olio di palma sostenibile – Rspo) che rappresenta 2,6 milioni di ettari, il 19% della produzione mondiale, la certificazione internazionale di sostenibilità (Iscc), Tavola rotonda sulla sostenibilità dei Biomateriali (Rsb), Rainforest Alliance (Ra), lo schema di certificazione del governo malese Malaysian Sustainable Palm Oil (Mspo) e il suo equivalente indonesiano Indonesian Sustainable Palm Oil (Ispo). Gli autori del rapporto suggeriscono di cambiare le strategie e chiedono di ridurre la domanda di olio di palma, in particolare nel mercato dei biocarburanti, e di istituire una moratoria per la conservazione delle foreste e delle torbiere.
Il far west del tessile
Il settore tessile è il più prolifico con più di 100 etichette e diverse iniziative come l’indice di sostenibilità Higg, ampiamente utilizzato dalle casa di moda e dai marchi del prêt-à-porter, anche se, secondo gli autori del rapporto, “privo di trasparenza e basato sull’autovalutazione“. Secondo Changing Markets, nessuna delle etichette garantisce la sostenibilità lungo tutta la catena di approvvigionamento, nemmeno il marchio europeo di qualità ecologica che copre l’intero ciclo di vita dei prodotti tessili. Non solo. La Better Cotton Initiative (Bci), consente addirittura l’uso di pesticidi pericolosi e di cotone Ogm.
Le riforme necessarie
Per Changing Markets le certificazioni sono utili ma occorre cambiarle radicalmente per garantire l’ambiente, i lavoratori e i consumatori: “Alziamo gli standard e le certificazioni devono anche coprire l’intera catena di fornitura del prodotto e il suo ciclo di vita”.
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