Sempre meno alunni, anche al Nord. Che ne faremo degli insegnanti?

Da decenni si emigra dal Sud verso il Nord dell’Italia per insegnare; a farlo sono soprattutto donne che in questo modo hanno cercato e cercano una stabilizzazione, in alcuni casi anche un’emancipazione, che talvolta però portano con se la famiglia ma di tanto in tanto vorrebbero anche ritornare da dove sono venute. Un fenomeno è destinato a modificarsi radicalmente, a guardare le proiezioni Istat per i prossimi dieci anni, a causa di un forte calo demografico al centro Nord. Ma la trasformazione non interesserà, evidentemente, solo il Sud, bensì tutto il mondo della scuola, il suo benessere e la sua efficienza.

Un mestiere in via di estinzione?

A rendere noti questi dati la Fondazione Agnelli, durante la presentazione del rapporto In cattedra con la valigia – Gli insegnanti tra stabilizzazione e modernità (Donzelli), curato da Michele Colucci e Stefano Gallo, dove anche il demografo dell’Università di Bologna, Roberto Impicciatore ha mostrato – grafici e numeri alla mano – come questa mobilità sia frutto del meccanismo di reclutamento. I poli di attrazione sono il centro Nord e il Lazio, e la distanza media dei trasferimenti del personale è di 600 km, un lungo raggio insomma.

Tuttavia, come spiega Stefano Molina della Fondazione Agnelli, in un decennio il “panorama demografico sarà profondamente cambiato”: se fino ad ora ci si è spostati da Sud verso Nord perché è lì che si creano posti, non sarà più così. Dall’elaborazione Istat presentata da Molina si evince che, analizzando gli anni 2006, 2016 e 2026, la situazione subirà un cambiamento notevole. Prendendo infatti otto regioni del Nord e del Sud, il decremento della popolazione renderà inevitabile una contrazione degli organici (la Buona Scuola ha immesso 150mila professori) e le nuove immissioni in ruolo dipenderanno dalle cessazioni; la mobilità probabilmente si raffredderà, secondo la Fondazione Agnelli.

E se aumentassimo tempo pieno e insegnanti?

La riforma della Buona scuola è stata, di fatto, “l’ultima chiamata per molte donne non giovanissime”, come ricorda anche il sociologo Dario Tuorto, e questo ha senz’altro fatto sì che le relazioni che si sono instaurate nelle scuole di approdo delle insegnanti “nuove” con le “vecchie” non siano state in molti casi positive, con l’effetto paradossale che il reclutamento da più parti definito “schizofrenico” alla fine, ha incrementato le divisioni.

Che i decreti non possano risolvere i disequilibri, insomma, è ormai evidente. E la politica, nel futuro prossimo, a parere della Fondazione Agnelli, dovrà concentrarsi sul “demoltiplicatore delle cattedre”: aumentare gli insegnanti per classe alla primaria, ridurre il numero degli alunni (come è avvenuto in Francia con la riforma Macron destinata ad aree problematiche), l’introduzione del tempo pieno e prolungato e di organici aggiuntivi ma anche l’innalzamento dell’età di istruzione obbligatoria. La sfida però dovrebbe iniziare già da ora.

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