L’impegno di Big Pharma non è sufficiente per contrastare l’antibiotico resistenza. E in particolare la ricerca e la messa in produzione di nuovi medicinali capaci di contrastare i “superbug“, ovvero i microbi diventati ormai più forti degli antibiotici oggi in circolazione, non basteranno a sostituire i farmaci non più efficaci.
L’accusa arriva da Davos dove l’ong Access to Medicine foundation, che si occupa di monitorare tra le altre cose l’impegno delle filiera farmaceutica per contrastare l’antibiotico resistenza, ha presentato i risultati del primo studio (Antimicrobial resistance Benchmark, 2018) finanziato dal governo britannico e da quello olandese, che ha valutato attraverso un apposito indice il lavoro messo in campo dalle aziende (comprese quelle che producono generici e le biotecnologiche) sul fronte dei nuovi antimicrobici. La valutazione complessiva? L’ha fornita Jayasree Iyer, direttore esecutivo della fondazione: “Anche se le compagnie stanno affrontando il problema molte sono appena all’inizio. È vero che ci sono importanti nuove medicine in arrivo, ma è opinione comune che non basteranno a sostituire quelle che non sono più efficaci“.
8 sorelle in ritardo
Il rapporto ha valutato le 30 maggiori compagnie al mondo dando loro un punteggio in base ai farmaci in sviluppo, alle politiche per la fabbricazione responsabile, ad esempio con azioni per ridurre la presenza di antibiotici negli scarichi. Circa metà delle aziende, risulta dal documento, hanno messo in campo delle azioni per monitorare il fenomeno della resistenza, soprattutto dei batteri che causano la polmonite. Otto hanno politiche attive per ridurre la dispersione dei farmaci nell’ambiente, e quattro le richiedono anche ai loro fornitori. Quattro compagnie stanno iniziando a eliminare la quantità di antibiotici venduti dai parametri per i bonus ai venditori.
Se ci soffermiamo solo sugli 8 gruppi più grandi presi in esame possiamo avere un buon polso della sitauzione. Come mostra il grafico riprodotto affianco, nessuna delle grandi case farmaceutiche è vicina al traguardo del 100%.
Nello specifico, Gsk, Sanofi e Johnson & Johnson sono più avanti delle altre per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo delle nuove cure contro i superbug. La seconda in particolare si sta concentrando sulla definizione di medicinali contro la tubercolosi.
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Pronti solo 2 nuovi antibiotici
Ma a conti fatti l’obiettivo da raggiungere è di là dall’essere centrato.
Access to Medicine foundation tira le somme in questo modo:
- Allo stato dei fatti ci sono 28 antibiotici nelle fasi successive dello sviluppo capaci di sconfiggere i patogeni ritenuti critici dall’Oms e/o dai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. Tuttavia, solo due di questi 28 candidati sono supportati da piani per garantire che possano essere entrambi resi accessibili e utilizzati;
- Quasi la metà delle aziende valutate sono coinvolte negli sforzi per tracciare modelli nella resistenza ai farmaci, con programmi di sorveglianza AMR (Antimicrobical resistance) di diverse scale in 147 paesi. La polmonite è l’infezione più ampiamente monitorata. Pfizer sta eseguendo la maggior parte dei programmi;
- Otto aziende stanno ponendo limiti alla concentrazione di antibiotici nelle acque reflue che rilasciano nell’ambiente scarti della lavorazione capaci poi di entrare in contatto con la catena alimentare. Quattro società richiedono ai fornitori di soddisfare anche questi standard: GSK, Johnson & Johnson, Pfizer e Roche. Sono necessarie ulteriori informazioni su quali siano questi limiti e nessuna società rivela ciò che viene rilasciato nella pratica;
- Quattro società stanno prendendo provvedimenti per ridurre i bonus riconosciuti agli informatori del farmaco dell’agente sul volume di antibiotici venduti. GSK e Shionogi li hanno completamente ridotti, Pfizer sta pilotando questo approccio in alcune località e Novartis sta modificando gli incentivi per i suoi team di vendita.