Tutto quello che vediamo accadere riguardo le nuove norme sugli shopper usati per la nostra spesa quotidiana, richiede un commento sia pure breve. Naturalmente, non è in discussione la necessità di ridurre i volumi di materiale plastico che ci circondano e che avvelenano ulteriormente il nostro pianeta. L’isola di plastica presente nel Pacifico e quella più piccola che pare galleggi nel Mediterraneo Occidentale, non possono che trovarci uniti a volere ridurre le quantità dei materiali non biocompatibili e aiutare l’ambiente a sopportare meglio la specie umana.
Perché il sacchetto da casa potrebbe essere un alibi per l’industria
La soluzione di riutilizzare degli shopper che avevamo già a casa propria purtroppo non è percorribile per ragioni di sicurezza alimentare. Una volta che lo shopper è stato usato andrebbe poi lavato, conservato in modo accurato, insomma non può trasformarsi a sua volta in un punto di criticità della filiera di sicurezza dove potremmo involontariamente introdurre dei punti di pericolo ad esempio microbiologici che sarebbero meno controllabili. E potrebbe diventare un comodo alibi per le industrie per escludere responsabilità personali in caso di incidente alimentare.
Pensate a un’allerta sulla presenza, chessò, di escherichia coli nelle insalate. Di fronte a un allarme le aziende potrebbero nascondersi, almeno inizialmente, dietro l’ipotesi che sia stato il sacchetto portato dal consumatore a contaminare il prodotto.
Perché non imporre la riduzione della plastica alle industrie?
A mio parere una strada per avere dei risultati più solidi e più evidenti nella riduzione delle masse di materiali non biocompatibili, è quella di coinvolgere maggiormente le aziende coinvolte nel packaging alimentare. In tanti alimenti è frequente un uso eccessivo di plastiche, carta, materiali poliaccoppiati che ci fanno disperare due volte: al momento dell’apertura e poi nella necessaria fase di differenziazione dei rifiuti. Se si riducessero i volumi e si migliorasse ancora di più la biocompatibilità degli imballaggi, i risultati a livello di protezione ambientale sarebbero ben altri e più evidenti. È sempre auspicabile ed utile che non si aggiungano ulteriori micron di plastica agli oceani di plastica già esistenti, ma i costi di questa operazione di “greenwashing” non sono compresi dai consumatori se per alcuni alimenti vedono accoppiati carta e materiali plastici e talvolta senza nessuna indicazione sul loro successivo differenziamento.