La Scienza, intesa come tale, si basa su una serie di prove scientifiche da considerare sempre criticabili e revisionabili per esempio alla luce di nuove scoperte, di nuove tecniche e anche perché no, di una visione antropologica e socio-economica che si evolve con il tempo.
Per intenderci, quello che solo venti anni fa non sembrava culturalmente accettabile ora invece lo può essere. Anche molecole che prima non erano valutate, oggi sono tossicologicamente poste sotto il microscopio per nuove evidenze scientifiche.
Una lunga introduzione per un semplice principio, ovvero chi fa ricerca valuta se un alimento biologico può o meno migliorare la salute pubblica. Se i dati sperimentali confermano il vantaggio, il prezzo non può essere il fattore discriminante per dovere accettare un’agricoltura tradizionale che usa molecole di sintesi.
Rispondendo alla critica che il biologico è un mondo truffaldino e in continua fase di deroga, cosa dire dell’uso in deroga del glifosato oppure delle pratiche agronomiche dove l’abuso di molecole di sintesi è altrettanto possibile.
Giustificare un mix di fitofarmaci o pesticidi, che può essere fonte di rischi per i consumatori e in particolare per i più fragili, come alternativa al ridurre le possibili truffe sul biologico non è l’approccio migliore.
La strada più logica è aumentare i controlli e la formazione di chi lavora nel biologico e non rifiutarlo perché ci sono delinquenti che, come in tutti i settori, operano in barba alle regole.
Nel caso del glifosato, i dati tossicologici che leggiamo non sono del tutto rassicuranti, altrimenti tante richieste per la sospensione del suo utilizzo non avrebbero le basi scientifiche per essere poste e già comprendere la discrasia tra IARC che nel marzo del 2015 l’ha classificato come probabile carcinogenico per l’uomo (Gruppo 2A) insieme al DDT oppure l’acrilammide e altre 80 molecole e il parere dell’ EFSA che non lo ritiene carcinogenico, ci crea una discreta tensione.
Probabilmente non rientriamo del tutto nell’applicazione dell’art. 174 della Comunità Europea ovvero nel Principio di precauzione.
In questo caso perché non appellarci al Principio del rischio che si applica in tutti i casi in cui una valutazione scientifica obiettiva preliminare suggerisce che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani possano essere incompatibili con il livello di protezione scelto dalla Comunità (Comunicazione Commissione Europea sul Principio di Precauzione 2000).
Non è percorribile o etico giustificare l’uso di determinate molecole senza avere un quadro tossicologico chiaro e non si può addurre come ragione per continuare a usarle, di rischiare il medioevo agricolo con dei costi elevati.
I costi della salute sia diretti che indiretti per le popolazioni, e ripeto ancora di più per le più fragili, come sono i piccoli consumatori, non possono essere negoziate; in poche e forse più dirette parole sulla sicurezza e la salubrità degli alimenti non ci sono margini di trattativa che possano tenere banco.