“In base ai risultati ottenuti dal nostro studio pilota non siamo in grado di stabilire se il glifosato sia cancerogeno certo per l’uomo, però abbiamo accertato l’attività di perturbatore endocrino di questo composto, la capacità cioè del glifosato di interferire con il sistema ormonale correlato alla maturazione sessuale degli individui”.
Fiorella Belpoggi è la direttrice dell’area di ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna, l’ente scientifico indipendente tra i più autorevoli al mondo nella ricerca contro il cancro, e ha coordinato il primo esperimento sugli effetti a breve termine del glifosato sulla salute umana, che verrà presentato in questi giorni nel capoluogo emiliano.
Secondo lo studio del Ramazzini il glifosato – principio attivo dell’erbicida più usato al mondo, il RoundUp della Monsanto, ritenuto “probabile cancerogeno” dalla Iarc – “anche a dosi ritenute sicure e per un periodo espositivo relativamente breve – corrispondente a uno studio di tossicità a 90 giorni, cioè, in termini di età equivalente nell’uomo, dalla vita embrionale ai 18 anni di età – , è in grado di alterare alcuni parametri biologici di rilievo che riguardano soprattutto marker correlati allo sviluppo sessuale, alla genotossicità e all’alterazione della flora batterica intestinale”. Alla vigilia del voto degli Stati membri in merito alla richiesta della Commissione di riautorizzare per altri 10 anni l’uso del glifosato, cerchiamo di fare il punto su quelle che sono le nuove evidenze scientifiche a disposizione della comunità.
Dottoressa Belpoggi, le conclusioni a cui è arrivato il vostro studio non sono sufficienti per definire cancerogeno il glifosato?
Il nostro studio pilota non chiarisce le incertezze relative alla cancerogenicità del glifosato-RoundUp sollevate dalle diverse Agenzie (Iarc, Efsa, Echa), ma sicuramente mette in evidenza effetti sulla salute altrettanto gravi, che potrebbero manifestarsi anche con patologie oncologiche a lungo termine, con un impatto notevole in termini di salute pubblica in quanto colpiscono la fascia di età infantile e adolescenziale e, per la diffusione planetaria di questo erbicida, potrebbero affliggere un numero enorme di persone.
Ai ratti usati nel vostro esperimento avete somministrato per un periodo di 90 giorni una quantità bassa di glifosato pari a 1,75 mg/kg di peso corporeo, che è la dose massima giornaliera (Adi) ammessa negli Usa. I 90 giorni corrispondono nel modello uomo equivalente al periodo che va da zero a 18 anni di una persona. Gli effetti da voi registrati evidenziano un rischio elevato oppure no?
Noi non abbiamo quantificato il rischio, ma evidenziato il pericolo. Cioè abbiamo visto nel nostro modello sperimentale che alla dose di 1,75 mg/kg equivalenti alla dose che negli Usa viene considerata sicura, cioè senza pericoli per la salute umana anche se assunta per tutta la vita, che lo sviluppo sessuale delle femmine trattate con RoundUp è ritardato. Inoltre sempre il Roundup ha provocato effetti genotossici (micronuclei) e alterazioni della flora batterica intestinale nel primo periodo della vita. Il pericolo non è quantificato ma solo evidenziato; il rischio invece è un parametro che viene quantificato con modelli matematici.
Però possiamo dire che c’è evidenza dell’attività interferente ormonale del composto…
Il RoundUp, il formulato a base di glifosato della Monsanto, si è dimostrato un interferente endocrino con effetto androgenico (eccesso di ormoni maschili, ndr). Questo aspetto verrà approfondito con altre analisi che sono attualmente in corso. Devo dire che molti pesticidi sono interferenti endocrini; è un tema di attualità negli Usa e in Europa dove esistono gruppi di lavoro che stanno cercando di mettere a punto nuovi atti regolatori per i pesticidi con queste caratteristiche. Sono interferenti endocrini molte sostanze con cui entriamo a contatto quotidianamente come gli ftalati, i parabeni, il bisfenolo A, il pesticida Mancozeb e altri composti chimici di largo consumo.
La nuova definizione di interferente endocrino proposta dalla Commissione aumenta le prove scientifiche necessarie per definire tale una sostanza. Possiamo dire che il vostro studio potrebbe contribuire a classificare non più solo come “sospetto” ma perturbatore endocrino “certo” il glifosato?
Si, il glifosato nelle nostre condizioni sperimentali, cioè a dosi comparabili a quelle ammesse nell’uomo, ha dimostrato di interferire con il sistema endocrino correlato alla maturazione sessuale, in particolare con un effetto androgeno-simile.
La dose da voi impiegata è ragionevolmente rappresentativa anche per l’esposizione europea-italiana?
In Europa la Adi, la dose massima giornaliera è di 0,3 mg/Kg di peso corporeo, ma la proposta in sede comunitaria è di innalzarla a 0,5.
Avete in programma un nuovo studio che misurerà gli effetti a lungo termine: siete sicuri che questo scioglierà ogni dubbio sul glifosato?
Sì questo è lo scopo dello studio che intendiamo condurre con una raccolta fondi dove saranno i cittadini a sostenere la nostra ricerca. Quello che proponiamo è un cambio di paradigma nello studio delle malattie ambientali per la tutela dei consumatori.
Di recente lei ha scritto al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina invitando il governo a “frenare” la Ue sulla nuova autorizzazione del glifosato. Perché lo ha fatto?
I primi rilievi emersi dallo studio-pilota ci hanno portati a sollecitare il ministro Martina affinché posso proporre all’Europa di autorizzare l’uso del glifosato per non più di 5 anni.
In virtù del principio di precauzione, non sarebbe il caso di stoppare il glifosato fino a prova contraria, ovvero fino a che non siamo certi che non è cancerogeno? Perché farlo circolare altri cinque anni?
Siamo scienziati e dobbiamo dare delle risposte certe e non appellarci al principio di precauzione: la comunità scientifica è in grado di sciogliere ogni dubbio se vuole e se messa nelle condizioni di operare. Ho proposto quel termine temporale perché fra 5 anni avremo nelle mani i risultati del nostro studio a lungo termine. Il nostro studio chiarirà la sussistenza dei possibili pericoli per la salute da noi individuati nel primo periodo della vita, chiarirà se le patologie precoci riscontrate siano correlabili a lungo termine a patologie gravi come il cancro e, dato l’accurato disegno sperimentale che perseguiamo, permetterà, anche in caso di risultati negativi, di sciogliere tutte le incertezze, le discussioni e le polemiche attorno a questo composto.