Caporalato, l’azienda forniva pomodori a Mutti e Cirio. Martina: “Via a tavolo su trasparenza”

Neanche la Mutti, una delle aziende alimentari che più si è impegnata negli ultimi anni contro il lavoro irregolare, riesce a schivare l’ombra lunga del caporalato. Come racconta un’inchiesta di Internazionale, infatti, i produttori per cui lavorava  Abdullah Muhamed, morto il 20 luglio 2015 per un infarto, fornivano pomodori proprio all’azienda di Parma, oltre che a Conserve italiane (Cirio) e La Rosina.

L’inchiesta della procura di Lecce

A risalire la filiera, tramite il controllo a ritroso delle bolle di accompagnamento della merce, è stata la procura di Lecce che sta indagando, appunto, sul decesso del bracciante, molto di fatica in condizioni lavorative proibitive. Abdullah Muhamed lavorava in nero nei campi di Nardò, in Puglia, per l’azienda di Giuseppe Mariano, che è stato rinviato a giudizio insieme a a Mohamed Elsalih, il presunto caporale. Nessun rinvio a giudizio invece per Cirio, Conserve italiane e la Rosina, su cui però si sono sollevate le polemiche per i controlli insufficienti.

Mutti: “Non siamo riusciti a fare di più”

Francesco Mutti, titolare dell’omonima azienda , risponde a Internazionale: “Sul pomodoro da industria noi chiediamo alle aziende la raccolta meccanizzata proprio per evitare queste situazioni. Ma nel caso del pomodorino è più complesso raccogliere meccanicamente e chiediamo quindi garanzie stringenti sulla manodopera utilizzata”. E aggiunge: “Da quando ho appreso questa notizia tremenda, mi sono chiesto infinite volte cosa avremmo potuto fare di più e non sono riuscito a trovare una risposta. Noi abbiamo rapporti diretti con le singole aziende agricole e non ci siamo accorti che quella ditta sfruttava i lavoratori. Personalmente pensavo che mettendo in atto una serie di accorgimenti, saremmo stati in grado di tenere lontane le aziende che giocano sporco. Purtroppo non è stato così: questo ci insegna che da oggi in poi dovremo vigilare di più”.

L’insufficienza dei protocolli di legalità

Rispondendo a Repubblica, invece, Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, ha spiegato: “Le imprese dalle quali compriamo il prodotto firmano un protocollo di legalità. Si impegnano a osservare le norme in materia di sicurezza e salute sul lavoro, i contratti collettivi nazionali, la normativa previdenziale e quella in materia di lavoro degli immigrati. Non possiamo sostituirci all’Inps o alle forze dell’ordine”. Non bastano, però, gli impegni, così come l’assicurazione da parte delle aziende in questione rispetto l’interruzione di rapporti commerciali con Giuseppe Mariano. Evidentemente, qualcosa nella catena dei controlli non funziona, dove la fanno da padrona le autocertificazioni, così come la legge sul caporalato – che ha inasprito le pene – non è sufficiente a garantire l’integrità della filiera. Il Caso su cui ha puntato i riflettori la Procura di Lecce dimostra anche misure come la Rete del lavoro agricolo di qualità, promossa dal ministero per le Politiche agricole, rischi di fare da foglia di fico ad aziende e produttori più che invogliarle ad evitare lo sfruttamento del lavoro: secondo il portale Agricolae.eu, l’azienda a cui Giuseppe Mariano conferiva i pomodori raccolti, farebbe ancora parte della Rete del lavoro agricolo di qualità oltre che di “Campagna amica” la rete di Coldiretti.

Un tavolo per aumentare la trasparenza

Fabio Ciconte, portavoce di Filiera sporca, ha firmato insieme Stefano Liberti, l’inchiesta per Internazionale. Ciconte chiede al ministro Martina e alle aziende coinvolte di aprire un tavolo per rivedere i controlli, a partire da quelli che le stesse devono essere in grado di fare anche a sorpresa nei campi dei fornitori. Francesco Mutti ha risposto su Twitter: “Totale disponibilità e massimo interesse per la tutela del Made in Italy e della filiera”. Maurizio Martina ha preso un impegno preciso: “Vogliamo rafforzare l’impegno comune. 8 novembre riunione al ministero anche sulla nuova etichetta per i derivati del pomodoro”. L’addio al caporalato deve passare per la trasparenza della filiera oltre che per maggiori controlli.

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