Sono insieme nel Consorzio di tutela del formaggio italiano più venduto nel mondo dopo il Parmigiano, ma ora i produttori caseari del Lazio chiedono, contro i colleghi sardi, all’Unione europea di togliere la Dop dal Pecorino romano ormai quasi interamente lavorato con latte proveniente dagli allevamenti sardi.
Stop alla comunicazione ingannevole
La guerra del pecorino è raccolta in queste cifre pubblicate dal Messaggero: dei circa 250mila quintali di pecorino romano venduto in tutto il mondo ogni anno – per un controvalore di 20 milioni di euro – la quota romana rispetto a quella sarda è pari a poco più del 3%. Per questo motivo i produttori laziali hanno deciso di divorziare dal Consorzio di tutela che ha sede a Macomer (Nuoro): ormai il Pecorino Romano viene prodotto con latte sardo e il latte munto tra Viterbo e Roma viene venduto in Toscana e Umbria. Da qui la decisione choc e la lettera a Bruxelles e al ministero delle Politiche agricole: “Chiediamo di mettere fine al perdurare di una comunicazione ingannevole nei confronti del consumatore. Ma anche di mettere fine al divieto imposto ai produttori laziali di utilizzare il riferimento al territorio sul quale producono”.
Due euro in più al chilo
In estrema sintesi si chiede quindi di “escludere il territorio della Regione Lazio dalla zona di produzione del Pecorino romano dop, e quindi alla cancellazione della Dop stessa”. Tra le ragioni ci sono anche quelle economiche: un litro di latte delle pecore “laziali” viene pagato 0,80 euro, mentre quello proveniente dalla Sardegna costa meno: 50-60 centesimi. Il tutto, tradotto al consumatore finale, porta a una differenza di costo finale del Pecorino romano anche di 2 euro al chilo. Ma ora i produttori laziali, supportati dalla Coldiretti, hanno deciso di dire basta: ma questo è solo il primo atto della guerra del Pecorino.