Intimo bambini: cosa gli mettiamo addosso? Il nostro test in edicola

Ci sono le eroine di Frozen, i protagonisti di Zootropolis o di Trolls, gli aeroplanini di Super Wings o più semplicemente principesse, stelline e orsetti. La scelta dell’intimo, per una bambina, può dipendere semplicemente dal tipo di stampa che è applicata sopra. Eppure, specie per i genitori, la scelta potrebbe non essere così “neutra” se consideriamo le sostanze chimiche che possono “indossare” i nostri figli. E allora per capire il livello di contaminazione nel nuovo numero del Salvagente in edicola abbiamo testato in laboratorio 20 mutandine analizzando il pH dei tessuti e gli eventuali residui di glifosato (e metaboliti), ftalati, ammine aromatiche e coloranti allergenici e cancerogeni.

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Ftalati in tracce per 6 modelli

I risultati sono molto rassicuranti eccetto che per gli ftalati, i plastificanti usati per “ammorbidire” le stampe applicate sui capi di intimo, considerati degli interferenti endocrini, ovvero capaci di modificare il sistema ormonale. In sei modelli abbiamo riscontrato tracce di queste sostanze “indesiderate”: chiariamolo subito non si tratta di concentrazioni tali da dichiarare fuorilegge il prodotto. Il limite previsto dalla normativa europea – il regolamento Reach – è talmente alto –  1.000 mg/kg (o ppm) – che è difficile venga superato. Questo però non può consolarci. L’attenzione verso questi plastificanti cresce ancora più se consideriamo che possono entrare direttamente in contatto con l’apparato genitale delle bimbe.
Ma quanti ne abbiamo trovati? Si va da un massimo di 38 mg/kg (con presenza di due ftalati) a un minimo di 8 mg/kg: trovate tutti i risultati e i nomi nel nuovo numero. Al di là dei limiti di legge, queste concentrazioni sono davvero insignificanti? Cominciamo col dire che ci sono modelli con stampe completamente “pulite”, senza nemmeno l’ombra di ftalati. Del resto come spiegano gli esperti esistono alternative tecnologiche che di fatto eliminano gli ftalati del tutto.

Il pericolo “stampato”

Gli ftalati sono plastificanti utilizzati per rendere morbidi e malleabili i prodotti in plastica soprattutto in Pvc (clururo di polivinile): gli ftalati da estremamente rigidi li rendono molto flessibili. Negli indumenti sono usati per ammorbidire le stampe. Questi composti sono sospetti agenti cancerogeni e risultano tossici per il fegato e per i reni; interferiscono con lo sviluppo degli organi riproduttivi dei mammiferi in quanto la loro struttura può essere confusa a livello cellulare con quella di alcuni ormoni estrogeni. In particolare il Bbp ed il Dehp sono stati associati all’insorgenza di fenomeni allergici nei bambini. Il Reach, il Regolamento 1907/2006, ne regolamenta alcuni ma pone un limite elevato alla loro presenza: fino a 1.000 mg/kg. Il protocollo Detox della campagna Greenpeace adottato dalle aziende del distretto di Prato lo abbassa a 10 mg/kg per ciascuna sostanza. E, in virtù del principio di precauzione, anche noi nelle nostre valutazioni abbiamo preso a riferimento questo parametro.

 

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Limiti troppo alti, ma c’è chi li azzera

Gli interferenti endocrini, come ci spiega il dottor Panizza dell’Isde nelle pagine del lungo servizio in edicola, producono effetti anche a dosi basse. Diverse aziende adottano protocolli con limiti molto più severi e protettivi di quelli previsti dal Reach. È il caso delle 27 di Prato che, raccogliendo la sfida di Greenpeace, hanno fissato l’asticella degli ftalati a soli 10 mg/kg: una soglia 100 volte più bassa di quella prevista dalla legge. Un punto di riferimento, a nostro giudizio, al quale oltre alle aziende del settore dovrebbe tendere la legge per tenere alla larga i nostri piccoli da ogni possibile rischio.