Ha fatto molto rumore il test di copertina del Salvagente in edicola oggi, rimbalzando su molti giornali e tv. I risultati, del resto, sono difficili da ignorare: 14 donne incinte, il totale di quelle che si sono volontariamente sottoposte al test, hanno mostrato tracce di questo veleno nel loro organismo. Tanto? Poco?
Lo abbiamo chiesto a Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo, per anni ha lavorato in prima linea, in ospedale e ora ha scelto di non fermarsi e fa parte del Comitato scientifico dell’associazione medici per l’Ambiente Isde-Italia
“Non c’è alcun dubbio, le vostre analisi – e non solo quelle che avete condotto oggi – mostrano come il glifosato, almeno da noi, arrivi da ciò che portiamo in tavola e, dalla tavola, passi poi all’interno dei nostri corpi. Non solo attraverso la pasta, le farine e i farinacei, come pure avevate dimostrato voi del Salvagente un anno fa, ma anche attraverso carne, latte e derivati. Oltre l’85% dei mangimi utilizzati in allevamenti, infatti, sono costituiti da mais, colza, soia Ogm e resi resistenti al glifosato, per cui l’erbicida viene massicciamente usato e si accumula nella carne degli animali e nei prodotti derivati di cui poi ci nutriamo”.
Patrizia Gentilini non è certo sorpresa dai dati che le mostriamo e immediatamente ci snocciola ricerche che hanno dimostrato come su popolazioni non esposte professionalmente si trovino pesticidi nel sangue. “Uno degli studi recenti, condotto su gestanti negli Stati Uniti ha dimostrato che dal 95 al 100% di loro mostrava residui di contaminanti chimici nel sangue”. Non è meravigliata, dunque, ma non per questo è meno preoccupata.
“Il fatto di averlo trovato, in tutte le donne che si sono offerte per la vostra prova e che nessuna provenisse da zone agricole che potremmo considerare ‘a rischio’ per l’uso di pesticidi, significa che siamo tutti esposti. E questo è un problema serio”.
Dottoressa Gentilini, perché è un problema serio?
Ci sono numerosi dati sperimentali, condotti su cellule placentari ed embrionali umane che dimostrano come il glifosato, specie nella sua formulazione commerciale e a diluizioni comparabili a quelle cui attraverso la dieta siamo esposti, induca necrosi e favorisca la “morte cellulare programmata (apoptosi)”. Quindi si tratta di una sostanza genotossica oltre che cancerogena come ha stabilito la Iarc.
Dunque non c’è solo la “probabile cancerogenicità” che denuncia l’Agenzia di ricerca sul cancro?
Al di là dell’azione cancerogena, legata soprattutto all’aumento di rischio di linfomi, il glifosato agisce anche come “interferente endocrino” alterando la sintesi di ormoni quali progesterone, estrogeni e testosterone e modifica la permeabilità delle membrane cellulari. Queste azioni – dimostrate a livello sperimentale – si verificano a concentrazioni molto basse, paragonabili a quelle presenti negli alimenti e soprattutto per esposizione al formulato commerciale in cui sono presenti – oltre al principio attivo – altre sostanze come “coadiuvanti” che permettono alla molecola di penetrare attraverso la membrana all’interno della cellula vegetale. Non è difficile ipotizzare che ne risultino danneggiate anche le membrane cellulari dei mammiferi.
Con quali effetti?
In conseguenza della alterata permeabilità cellulare a livello intestinale si possono avere modificazioni del microbiota intestinale (in particolare lactobacilli e bifidobatteri), che sappiamo essere di fondamentale importanza per la salute dell’individuo. A seguito di squilibri nella flora intestinale si favorisce infatti la crescita di agenti patogeni, si induce uno stato infiammatorio e si facilita l’insorgenza di allergie alimentari, intolleranza al glutine, deficit vitaminici etc.
Le specie di Lactobacillus e Bifidobacterium hanno la capacità di biosintetizzare acido folico, la loro distruzione da parte del glifosate potrebbe contribuire a una carenza cronica di acido folico. Gli effetti sono anche sulla salute riproduttiva: un recente lavoro scientifico lega questa molecola alla insorgenza dell’ovaio policistico.
Una minaccia globale seria, dunque.
Sì, e si aggiunge a quella rappresentata dalle centinaia di molecole estranee con cui veniamo a contatto ancor prima di nascere e che sono ormai stabilmente presenti nei nostri corpi. Ricordiamo – rimanendo nell’ambito dei pesticidi – che esiste una variabilità geneticamente determinata per quanto riguarda la suscettibilità individuale e gli individui che presentano alterazioni degli enzimi deputati alla eliminazione di queste sostanze, in particolare gli organofosfati, hanno un incremento molto maggiore del rischio neurotossico, cardiovascolare e metabolico indotto da queste molecole.
Eppure c’è chi giura, come l’Autorità alimentare europea, che il glifosato non sia pericoloso…
È sconcertante l’approccio riduzionista sulle valutazioni tossicologiche che viene adottato: si prende in esame il solo principio attivo e non il formulato commerciale, spesso molto più tossico come nel caso del glifosato; si guarda la singola molecola e non il cocktail di sostanze. I limiti sono stabiliti per gli adulti in buona salute, non tenendo conto degli organismi in accrescimento o delle frange più fragili della popolazione molto più suscettibili. Senza contare la “brutta abitudine” delle agenzie regolatorie a utilizzare gli studi prodotti dalle aziende e non la documentazione scientifica indipendente, cosa che ad esempio ha fatto la Iarc.
Nelle 14 donne incinte del nostro test, la presenza va da 0,4 nanogrammi a quasi 3,5 nanogrammi.
Non c’è da stare tranquilli, ma non c’è da stupirsi: recentemente è stata pubblicata una indagine di biomonitoraggio condotta in Danimarca su 143 madri e 116 bambini in età scolare.
In un sottogruppo di 27 soggetti è stato dosato anche il glifosato ed è stato ritrovato in tutti i 27 campioni con una concentrazione media di 1 ng/ml. I dati delle gestanti di Roma andranno valutati e commentati anche alla luce della scheda anamnestica che è stata raccolta per ogni caso, e se andassimo a cercare anche nel cordone ombelicale certamente lo troveremmo anche lì, ma il messaggio che già ne scaturisce è chiaro e lampante: le sostanze tossiche sono dentro i nostri corpi e passano dalla madre al feto nel periodo più delicato ed importante di tutta la nostra vita, potendo condizionare non solo la salute nell’età infantile ma anche nell’età adulta, tanto che si parla ormai di una “origine fetale delle malattie dell’adulto”.
Un recentissimo studio realizzato dalla Iarc per valutare l’incidenza di cancro nell’infanzia (0-14 anni) e pubblicato su Lancet Oncology evidenzia che l’incidenza più elevata al mondo si registra nei paesi del Sud Europa. In Italia tra i picchi delle regioni che hanno inviato i dati si superano i 200 casi/anno per milione, contro i 160/170 della media. Credo che dobbiamo porci delle domande: il cancro nei bambini è un campanello d’allarme importante, visto che queste creature non fumano, non bevono e oggi noi sappiamo che molti dei fattori di rischio passano dalla madre al figlio. Anche attraverso la placenta.
Come se ne può uscire, dottoressa Gentilini?
Da qualche parte si deve cominciare: tutto ciò che immettiamo nell’ambiente poi ci torna con la catena alimentare, ma anche con l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo o attraverso la stessa pelle. In agricoltura è oramai inderogabile un nuovo modello che si occupi del cibo tenendo ben presenti le conseguenze che ha la sua produzione sull’ambiente e sulla salute umana. Il primo passo, però, è prendere coscienza delle condizioni in cui siamo. Io dico sempre di leggere l’enciclica Laudato sì di papa Francesco, un punto di riferimento comune anche per chi non è credente, perché mette l’uomo di fronte alle responsabilità di questo momento storico. Abbiamo trasformato il Pianeta in una sorta di esperimento globale nel quale noi siamo contemporaneamente gli esperimentatori e le cavie. Se prendiamo coscienza di questo non possiamo non diventare consapevoli della necessità del cambiamento. Sperando che non sia troppo tardi.