L’Italia ha finalmente un piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids. Il ministero della Salute ha infatti inviato alla Conferenza Stato-Regioni il nuovo Piano nazionale Aids. Al centro delle misure, la necessità di rimettere la malattia al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, e le modalità per contrastare il fenomeno del “sommerso”, rappresentato da chi non ha consapevolezza di avere contratto il virus, e il numero italiani che pure consapevoli della loro condizione di salute, non entrano nei percorsi di cura o li interrompono. La stima riguardo questi ultimi due casi è del 15% dei 120mila affetti dal virus: circa 18mila persone che volontariamente rifiutano di curarsi.
Persiste lo stigma
Il Salvagente ha chiesto un parere sul piano a Massimo Oldrini, presidente della Lega italiana per la lotta contro l’Aids (Lila). “Le persone di cui si perdono le tracce – spiega Oldrini – sono composte da chi si trasferisce, chi ha problemi a seguire il trattamento perché magari ha difficoltà legate agli effetti del trattamento, oppure difficoltà ad accettare la condizione di positività all’Hiv. In qualche caso, magari, non si sentono molto accolti. Per esempio in centri di cura in province e centri molto piccoli, talvolta le persone hanno difficoltà perché è ancora molto forte lo stigma, la paura che si sappia che si ha l’Hiv”. Non giocano certamente a favore le informazioni anche datate che si trovano su internet, dato che oggi i farmaci hanno un impatto minore sul paziente.
“50 mila inconsapevoli del virus”
Ma il presidente della Lila è preoccupato soprattutto per chi al test dell’Hiv non si è mai sottoposto: “I dati ufficiali dell’Istituto superiore della sanità parlano di 15-30 persone, noi abbiamo sempre detto che sono sottostime. Per la Lila potrebbero esserci anche 40-50mila persone che ancora oggi non sanno di avere l’Hiv. Questo è il nodo molto grave: non sanno di avere l’Hiv e quindi non adottano comportamenti protetti”. Per la Lega italiana per la lotta contro l’Aids, questi “inconsapevoli”  si raggiungono aumentando in modo deciso l’offerta del test, mantenendolo gratuito e anonimo, e portandolo fuori dai circuiti ospedalieri, come è scritto proprio nel piano. Nei bar, anche dove possono avvenire incontri sessuali, nelle discoteche, nelle saune. È importantissimo riportare il test dentro i servizi per le dipendenze. Si sa che le persone che usano sostanze hanno un alto rischio, e non vengono raggiunte dal test”. “Sicuramente – spiega Oldrini – si può migliorare anche in cose pratiche. Noi sentiamo che alcuni centri di cura stanno riducendo gli orari, i giorni di apertura, diventa più complesso se uno lavora… la sanità pubblica dovrebbe provare a garantire per questi pazienti complessi un accesso facilitato”.
Ma i fondi dove sono?
Il giudizio del presidente della Lila sul piano è complessivamente positivo, anche se con dei punti critici: “Non c’era mai stato un piano nazionale, ha tante cose innovative, ma le criticità più grande sono le risorse da trovare per attuare quello che c’è scritto là dentro. Tutte le associazioni hanno cooperato attivamente, scritto parti di questo piano, però da subito abbiamo chiesto ‘ma i denari?’, la risposta: ‘ poi si vedrà “. Oldrini spiega come ci sia un accordo tra ministero e regioni per uno stanziamento, “che però deve essere finalizzato e controllato, perché l’ultima volta che il ministero ha messo in campo 15 milioni di euro, nel 2012, purtroppo le regioni li hanno usati per fare altro. Noi abbiamo fatto una denuncia pubblica, chiedendo l’intervento del presidente della Corte dei conti, che ha aperto una procedura che non si è ancora chiusa”. Così come è più che mai aperta la battaglia contro l’Aids, nonostante sui media e tra l’opinione pubblica se ne parli così poco. “Lo scorso anno – conclude Oldrini – è stato diramato un alert dall’Oms regione europea: si diceva che nel territorio di competenza l’Hiv è fuori controllo. E lo dicono le istituzioni per prime”.
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