Da oggi i bambini francesi possono andare in bici solo se muniti di caschetto protettivo. È infatti entrato in vigore il decreto legge dello scorso dicembre che vieta ai minori di 12 anni di scorrazzare su due ruote senza la necessaria protezione per il capo. In caso di violazione dell’obbligo, per gli accompagnatori adulti scatterà una multa di 135 euro.
In bici da soli o come passeggeri, l’obbligo non cambia: dovranno sempre avere il casco a tutela della loro sicurezza, per prevenire e limitare ferite al viso e alla testa. Naturalmente un casco conforme alle norme di legge e ben allacciato sotto al mento.
IN ITALIA NESSUN OBBLIGO
E in Italia? Nonostante da tempo si provi a introdurre una normativa simile, ogni iniziativa in tal senso non ha avuto successo, e l’uso del casco è rimasto una scelta. Nessun obbligo di indossare il casco per chi va in bicicletta, per nessuna fascia di età, è stato infatti introdotto dal Nuovo codice della strada approvato a fine luglio 2010. Né ha avuto maggior fortuna analoga proposta che il senatore del Pd Stefano Esposito ha provato a introdurre nella scorsa primavera con un emendamento al disegno di legge di riforma del Codice della strada.
CONTRARIA LA FIAB
In effetti l’argomento è spinoso e trova contrari proprio i diretti interessati, come la Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) per la quale l’utilizzo del casco è consigliabile per tutti i ciclisti, ma non può essere oggetto di un obbligo di legge. Neppure per i bambini.
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Le ragioni di questa contrarietà sono state esposte dalla Fiab nella lettera aperta che Giulietta Pagliaccio, presidente nazionale dell’associazione ha scritto al senatore Esposito e in cui sottolinea la necessità di “cominciare a costruire la mobilità ciclistica dalle fondamenta, a partire dalla redistribuzione dello spazio pubblico in favore di cittadini che desiderano utilizzare un mezzo diverso dall’auto, dall’abbassamento della velocità delle auto in città, dalla realizzazione di infrastrutture per la ciclabilità adatte alle diverse situazioni”. Insomma, imporre l’uso del casco sembra l’ultimo dei problemi per i ciclisti urbani.
MISURA INEFFICACE E CONTROPRODUCENTE
Ma già nel 2010, di fronte al tentativo di introdurre la norma tra le modifiche al Codice della Strada, la Fiab aveva esposto le proprie motivazioni per opporsi a una tale norma, chiarendo che “non è spostando gli oneri di protezione sull’anello finale della catena (il ciclista, in questo caso) che le nostre strade e le nostre città diventeranno più sicure”. Inoltre, avevano già segnalato l’inefficacia di questa misura che “laddove adottata […] ha dimostrato effetti controproducenti sulla pratica della bici, trasformandosi in un deterrente che ha ridotto il numero dei ciclisti in circolazione”. Tra l’altro si precisava che dove l’uso della bicicletta senza casco era stato penalizzato imponendo l’obbligo generalizzato del caschetto (Australia, Israele, Nuova Zelanda, Sud Africa e Turchia) il tasso di infortuni non si era ridotto. E comunque, si sottolineava che “in caso di investimenti ad alta velocità [il casco] è sostanzialmente ininfluente e crea anzi una falsa percezione di sicurezza che non corrisponde all’effettiva protezione, dato che i caschi sono omologati per reggere solo a cadute minori (impatti fino a 23 km/h, al contrario dei caschi per moto, profondamente diversi ma inutilizzabili in bici, che reggono a collisioni a velocità superiori)”. Una riflessione finale riguardava anche “le prevedibili conseguenze negative sul bike sharing, le cui prestazioni si vanno sviluppando in diverse città italiane con un indiscutibile riscontro di favore, rispondendo a una diffusa esigenza di mobilità flessibile e leggera: l’utente che preveda di utilizzare il servizio magari per un breve tragitto dovrà portarsi in giro il casco tutto il giorno?”. Ora però la mossa della Francia, uno dei paesi europei a più alta densità di ciclisti, riapre la discussione tra favorevoli e contrari.