Crolla la produzione (-50% rispetto al 2015), crescono le quotazioni dell’extravergine (i prezzi alla produzione sono cresciuti dai 4 euro di ottobre ai 5,5 euro al litro a metà novembre) e torna ad aleggiare lo spettro di truffe ai danni dell’olio made in Italy.
Secondo gli ultimi dati di Ismea e Unaprol le previsioni produttive per il 2016 si attestano su 243.000 tonnellate, con un calo del 50% al Sud e del 40% al Centro rispetto al 2015, va un po’ meglio al Nord –Â pur nelle limitate dimensioni della sua produzione-Â per un calo totale nazionale del 49%.
Listini in rialzo
La reazione dei mercati non si è fatta attendere “con tendenze rialziste dei prezzi – scrivono in una nota Ismea e Unaprol -che hanno portato in media gli extravergine a 5,52 euro al chilo a metà novembre, ma con la piazza di Bari già oltre i 5,70 euro al chilo, quando a settembre le trattative si sono chiuse su valori attorno a 3,80 euro al chilo.
Olio greco per tricolore?
Nel frattempo, come ha denunciato pochi giorni fa Teatro Naturale, c’è il rischio concreto che la contraffazione rialzi la testa soprattutto ai danni dell’olio Made in Italy: in Grecia e Spagna la produzione non ha subito i “colpi” di quella italiana e i prezzi all’ingrosso sono molto più bassi di quelli praticati dai frantoi nazionali. Il risultato? La tentazione di imbottigliare come italiano – e farlo pagare al consumatore come 100% italiano – un olio estero di minor costo per l’imbottigliatore.
Le precisazioni di Unaprol
In questa fase di incertezza si è aperto un caso attorno alla possibilità di “miscelare” il made in Italy per sopperire alla carenza produttiva di quest’anno. È insorto il mondo dei coltivatori e dei frantoniani. “Nessun tentativo di dare patente di italianità a blend di oli extravergine che non contengano oli di vera origine Italiana“. David Granieri presidente di Unaprol torna sul tema delle miscele di oli, riportato da alcuni organi stampa, e afferma che “si tratta invece del contrario! Nel mercato c’è chi ha fatto soldi dicendo, e non certificando, che nelle miscele c’è anche parte di prodotto italiano. Il più delle volte è stata esaltata una percentuale di italianità dello “zerovirgola”, che male c’è – afferma ancora Granieri – a mettere in trasparenza, aumentandola, la vera percentuale del prodotto italiano nelle miscele”.
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“Non creiamo noi italian sounding”
Contro l’ipotesi di aprire alle miscele, tre sigle della produzione Unasco, Cno e Unapol che in una nota specificano: “Diluire il made in Italy significherebbe vanificare tutto il lavoro sulla qualità condotto nel corso degli ultimi anni dalle singole organizzazioni di produttori, invertendo la rotta e passando da una produzione a prevalenza lampante a una con olio di qualità eccelsa, sostenuta grazie all’applicazione di percorsi e strumenti di tracciabilità che non trovano eguali nel mondo. Il rischio concreto è di creare un italian sounding a casa nostra, spacciando per olio ‘italico’ quello che olio delle regioni italiane è solo in minima parte”.