Dieci anni senza Vincenzo Dona, padre del consumerismo italiano

Ricorre quest’anno il decennale della scomparsa di Vincenzo Dona. E altrettanto è passato da quando è stato istituito il premio omonimo dedicato alla memoria del presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, fondatore della stessa Unione e padre del movimento dei consumatori in Italia. Spentosi a Roma nel 2006, Dona è ricordato sempre con grande affetto per le grandi doti umane e professionali.

Nel 1955, a soli 25 anni, ebbe l’intuizione di fondare l’Unione Nazionale Consumatori, quando ancora il consumatore era un soggetto sconosciuto sia alle leggi che al sentire comune.

Ma oggi, grazie anche alla sua opera, i diritti dei consumatori sono sempre più al centro del dibattito politico e sociale, e la tutela dei cittadini ha fatto enormi passi in avanti. Non più solo nel campo dell’alimentazione (basti pensare che negli anni 50 non esistevano limiti per i residui nocivi negli alimenti, per i metalli tossici, per le cariche microbiche), che resta comunque certamente il primo campo di battaglia tra truffe e sofisticazioni che mettono a rischio la nostra salute, ma anche con riferimento ad ogni settore della vita quotidiana, dalla produzione alla distribuzione fino ai servizi.

Se oggi molto è cambiato, lo si deve anche all’Unione Nazionale Consumatori e a Vincenzo Dona, che ad esempio hanno portato avanti la prima campagna contro le frodi olearie (che portò alla legge 13 novembre 1960 n. 1407, con cui furono emanate le norme per la classificazione e la vendita degli oli d’oliva e ad una successiva legge che ha regolato la produzione e la commercializzazione degli oli di semi).

Ma altre battaglie sono state vinte: sulla tutela delle denominazioni d’origine dei vini, sull’igiene degli imballaggi che vengono in contatto con le sostanze alimentari; sulla data di scadenza degli alimenti; sulla sicurezza degli impianti elettrici e a gas; sull’etichettatura obbligatoria dei tessili, grazie alla quale il consumatore può conoscere la composizione del capo che acquista. Ma la lista è molto più lunga.

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Nelle parole dello stesso Vincenzo Dona in occasione del cinquantenario dell’Unione Nazionale Consumatori, c’è tutto il senso della sua attività e la sua voglia di continuare a raggiungere altri traguardi: “Siamo combattuti tra due opposti sentimenti: la soddisfazione di quanto, nel cinquantennio, l’Unione Nazionale Consumatori ha fatto di importante per l’irreversibile affermazione del principio che anche i consumatori hanno diritti che la società deve non solo riconoscere, ma anche garantire, e il rammarico di non essere riusciti a fare il di più che sarebbe stato necessario”.

La strada è lunga e piena di ostacoli, ma Vincenzo Dona ha insegnato a tutto il movimento consumeristico italiano che l’obiettivo di una società più equa può e deve essere perseguito con tenacia e convinzione. Come lui ha sempre fatto.

Esemplare è la storia, per come l’ha raccontata lui stesso a una laureanda in scienze della comunicazione nel 2004. Alla domanda su come nacque nel 1955 l’idea di costruire un’associazione dei consumatori, Dona rispose così:

virgolette aperturaNasce da una precedente iniziativa, da un gruppo di amici, alcuni molto autorevoli. Ricordo, tra gli altri, il titolare della Cattedra di Pedagogia della “Sapienza” di Roma, Volpicelli, il direttore dell’Istituto di Merceologia (sempre della “Sapienza”), Arnaldo Foschini e il preside della Facoltà di Scienze, Sabato Visco – poi fondatore dell’Istituto Nazionale della Nutrizione. Con questo gruppo di persone ci riunivamo per selezionare i pubblici esercizi romani che offrissero alla loro clientela i piatti tipici di Roma. L’idea era di riscrivere, aggiornandolo, il famoso libro di Hans Barth “Le osterie romane”. Queste riunioni conviviali sono durate il tempo sufficiente per spostare la nostra attenzione da quella che ritenevamo una responsabilità dell’esercente alla responsabilità di chi produceva le materie prime utilizzate dall’esercente. Ci siamo trovati di fronte alle lacrime di uno di questi che reagiva al rimprovero di averci portato spaghetti scotti e ci invitava a seguirlo nel suo magazzino, mostrandoci la pasta utilizzata, che era la più cara del mercato. L’esercente affermava di non avere altro mezzo che il prezzo per ritenere di utilizzare un prodotto industriale di alta qualità.

La lampadina è scattata in quella occasione: ci siamo accorti, cioè, che la vigilanza sulla produzione era scarsa o nulla e che il consumatore finale era costretto a subire le scelte fatte a monte in materia di prodotti di largo e generale consumo.

A quel tempo io, che ero il più giovane del gruppo, viaggiavo molto per l’Europa, ancora ferita dalla guerra mondiale, e qualcuno mi consigliò, alla vigilia di un’estate, di approfittare del viaggio per vedere cosa si faceva per i consumatori. Scoprii che in Norvegia esisteva già allora un Ministero del consumo, il Forbrugerradet, retto da un presidente e da sette membri nominati dalla Corona; che a Stoccolma c’era una cooperativa di consumatori che, quando non riusciva ad acquistare prodotti di qualità ad un prezzo considerato equo, apriva delle fabbriche e produceva da sé le merci da vendere ai propri soci; che in Germania esisteva un’associazione di associazioni di massaie che avevano addirittura realizzato con successo uno sciopero delle carni, costringendo i venditori ad una drastica riduzione dei prezzi.

Infine ebbi la fortuna di incontrare e conoscere, a Bruxelles, Christian Worm, presidente della Consumer Union of United States, venuto in Europa proprio per promuovere associazioni volontarie di tutela del consumatore, quelle che, negli Stati Uniti, avevano cominciato a costituirsi fin dal 1932.

Tornai con questo bagaglio di conoscenze e con una mole enorme di carta e documenti che ci mettemmo a studiare. Era il 1953: studiammo e cercammo di capire, nell’arco di due anni, come adattare alla realtà italiana alcuni principi, alcune regole, alcuni indirizzi dei paesi che si erano dimostrati più evoluti in questo campo rispetto a noi.

All’inizio del 1955 costituimmo un comitato organizzatore dell’Unione Nazionale Consumatori che, il 25 novembre dello stesso anno, riunì un gruppo più numeroso di persone nella sala stampa di Roma, in Palazzo Marignoli, e costituì l’Unione Nazionale Consumatori. Questa è la primissima genesi della nostra associazione.

La sera della fondazione ci furono diversi interventi delle persone che ho ricordato all’inizio e di altre ancora, tra cui Enrico Mattei (non il presidente dell’Eni ma l’omonimo presidente dell’associazione dei cronisti romani) che presiedette la riunione. Durante quest’ultima furono individuate le linee del possibile sviluppo della neonata associazione. Si arrivò anche ad indicare i possibili dirigenti: si rimandò ad un momento successivo la nomina del presidente, che era prevista dallo statuto, e si puntò soprattutto alla nomina di un segretario generale che avesse il compito, specialmente nel primo periodo, di organizzare anche burocraticamente, per quel minimo necessario, la nuova associazione. Qualcuno propose il mio nome con la motivazionevirgolette apertura che avevo “la faccia di chi muore per la causa”. Sembrava un incarico destinato a durare qualche mese invece è un compito che mi è restato addosso da allora. Forse… per mancanza di concorrenza.