Tra una notizia di Made in Italy che utilizza sfruttamento del lavoro e l’altra, fortunatamente nel settore tessile si muove qualcosa in direzione della trasparenza verso il consumatore. Dalla Regione Veneta parte un progetto pilota innovativo: i capi d’abbigliamento -per ora quelli di una quindicina di imprese industriali ed artigiane della Regione Veneto (di cui non sono ancora stati comunicati i nomi) che hanno preso parte alla sperimentazione- “parleranno” rivelando la loro identità: dove sono nati, chi li ha creati, di cosa sono fatti. Insomma diranno tutta la verità nient’altro che la verità sul 100% made in italy.
Il progetto-pilota delle etichette narranti è stato presentato ieri in fiera a Milano-Rho, ed è stato ideato e realizzato dalle organizzazioni regionali venete di Confartigianato Imprese, Cna, Confindustria e Confesercenti sezioni moda, con il sostegno dell’Assessorato regionale allo Sviluppo Economico ed Energia e il coinvolgimento di Unionfiliere che certifica le linee produttive con il suo sistema Tf ed Unioncamere del Veneto.
Un’app per fare chiarezza
Grazie ad una applicazione software creata ad hoc, che sfrutta la tecnologia Nfc, basterà avvicinare il telefonino ad un paio di jeans, ad un vestito, una giacca o un paio di scarpe e i consumatori sapranno dove è sono stati prodotti, la stoffa o il pellame dove sono stati colorati e come, quali trattamenti hanno subito, in quale posto sono stati tagliati e cuciti dove è sono stati assemblati. “I vantaggi sono numerosi per tutti – spiega il comunicato della Regione Veneto – Il cliente saprà esattamente cosa acquista mentre il produttore potrà valorizzare la qualità del suo prodotto e approfittare del contatto con il consumatore finale per attivare una innovativa strategia di marketing ed espandere così il suo mercato”.
I promotori la definiscono “Un’arma potente per valorizzare il vero made in italy e combattere il mercato del falso che ci costa 7 miliardi l’anno, distrugge imprese e occupazione e danneggia i consumatori. Il consumatore deve avere la certezza di cosa comperare evitando di alimentare la catena del falso che porta solo danni a tutti quanti”.
Le leggi permettono il Made in Italy “falso”
Il problema è che le leggi comunitarie permettono di etichettare come Made in Italy prodotti manufatti quasi interamente in paesi con costi più contenuti, al patto di svolgere anche solo una parte della lavorazione nel nostro Paese. Solo alcune settimane fa la campagna inglese “Labour Behind the Label” aveva accusato la Geox di vendere scarpe Made in Italy noncurante dell’utilizzo di lavoro al di sotto degli standard legali dai suoi subappaltatori nell’Est Europa.
Un software modificabile da tutti
La tecnologia digitale è il cuore del progetto: essendo open source ed al cloud, le imprese vi possono accedere nel modo più semplice e meno costoso possibile. Chi aderisce al progetto non dovrà infatti acquistare nessun software. Ovviamente anche l’output sarà di diversi formati a partire dal più semplice QR-code sino alla tecnologia un po’ più avanzata dell’nfc che sta però divenendo molto comune soprattutto all’estero. “Fornire informazioni trasparenti che consentano al cittadino di riconoscere un prodotto, certificarne l’originalità e la provenienza – dichiara il Presidente Federconsumatori Rosario Trefiletti– è un elemento fondamentale, che da anni rivendichiamo. Per questo accogliamo con estrema positività questa iniziativa, che sfrutta le innovazioni tecnologiche per offrire al cittadino informazioni, ma soprattutto sicurezza e allo stesso tempo garantire un percorso di tutela dei prodotti di eccellenza made in Italy nel settore della moda.”