Legalizzare? Non è il lato economicista a convincere il senatore democratico Luigi Manconi, protagonista assieme al collega Benedetto Della Vedova dell’incontro organizzato dal Test-Salvagente al Senato. “Non sono un entusiasta sostenitore del vantaggio economico”, spiega Manconi. “Così come considero poco il tema della sconfitta delle mafie come conseguenza della legalizzazione, sono argomenti retorici efficaci ma credo che sia una clamorosa esagerazione”. Un’altra precisazione, secondo il senatore, è indispensabile: “sarebbe importante smettere di chiamarla marijuana, questo è il nome imposto proprio dal proibizionismo. Usiamo quello più adatto: cammabis”.
Riduzione del danno
Piedi a terra e 35 anni di militanza antiproibizionista, il senatore Pd parte innanzitutto da quella che chiama “una ragione fondamentale: qualsiasi sostanza determina più danni se consumata in regime di illegalità rispetto al consumo in regime di legalità”. È questo il cuore della questione secondo Manconi, legalizzare la cannabis è “una battaglia riformista di elementare buonsenso”, spiega il senatore, “ma l’antiproibizionismo è qualcosa di più complessivo, dotato di una sua profonda radice di natura culturale, giuridica e morale. Sintetizzando all’estremo, possiamo dire che qualsiasi comportamento se sottoposto a regolamentazione e non cacciato all’interno di una dimensione di criminalizzazione risulta meno capace di determinare danni all’individuo e alla collettività”. Non solo. Ci fa notare Manconi: “Se anche noi valutassimo che il consumo di una sostanza, come per esempio i derivati della canapa indiana, è capace di produrre effetti negativi una campagna per la dissuasione da quel consumo è più efficace se condotta in un regime di legalità”. L’esempio più noto e inconfutabile, sostiene Manconi, è la riduzione dei consumatori di tabacco avvenuta a seguito della campagna di dissuasione condotta in regime di legalità.
L’erba? Tanto più nociva se illegale
Sul piano “sanitario”, poi, “la cannabis, come la vostra inchiesta conferma, diventa tanto più nociva quanto più è illegale. Il contenuto di Thc è uno dei cavalli di battaglia dei proibizionisti. “I principali esponenti del proibizionismo è su questo che insistono, al punto da aver elaborato e diffuso l’argomento che ‘le canne non sono più quelle di una volta’”, sottolinea Manconi. “Ma questa affermazione ha le gambe corte perché questa nocività non conferma le loro teorie, ma è l’esatto contrario: è il regime proibizionistico che ha prodotto questa nocività. Il proibizionismo determina una qualità non controllabile della sostanza e, poi, essendo una sostanza interamente gestita dal mercato criminale, ne incentiva tutte le forme di sofisticazione”.
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Di cannabis non si muore
E i tempi ormai sono pressoché maturi, conclude Manconi: “È difficile che oggi una quota rilevante di persone pensi che si muoia di cannabis, l’idea diffusa è che sia anche quella una droga e che tutte le droghe è meglio reprimerle che legalizzarle”, rileva. “E soprattutto è diffusa l’ignoranza specifica, cioè è ridotto il numero degli adulti in grado di distinguere tra consumo occasionale e abuso, il che è un limite terribile alla capacità educativa dei genitori, degli adulti e degli insegnanti”. Senza dimenticare che in questo quadro, conclude il senatore, fondamentale è stato il ruolo della marijuana terapeutica che viene utilizzata come legittimazione della sostanza: “Se una sostanza può avere un effetto benefico si introduce un’attenuante affinché la sostanza esca dalla clandestinità e dall’immagine tutta nociva che porta con sé”.