No a 8 prodotti Ogm, l’Italia contro l’Ue

Sweet corn in genetic engineering laboratory, gmo food concept.

L’Italia vuole dire no a 8 prodotti da semina Ogm già approvati dall’Efsa, l’Agenzia europea sulla sicurezza alimentare. Con questo obiettivo il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina sta preparando 8 lettere, una per ciascun prodotto, con destinazione Bruxelles per chiedere il blocco nazionale alla semina.

La scorsa primavera la Commissione europea aveva dato il via libera a una decina di prodotti Ogm, soprattutto alimenti e concimi, ma anche alcune tipologie di cotone.

Ma le nuove norme europee concedono ai singoli Stati membri una chance per fermarne la coltivazione: chi non vuole che entro i propri confini territoriali siano seminati prodotti geneticamente modificati – pur autorizzati dall’Efsa e, dunque, sicuri per la salute e l’ambiente – può chiederne l’interdizione alla Commissione europea. Ma dovrà farlo adducendo motivazioni diverse da quelle che sono già state prese in considerazione a livello europeo dall’Agenzia: quindi, la richiesta di blocco non può basarsi su ragioni ambientali o sanitarie, per le quali l’Efsa si è già positivamente pronunciata, ma su altre motivazioni, sociali, economiche o paesaggistiche.

Alla base della richiesta, dunque, potranno addursi fattori connessi agli obiettivi di politica agricola, di pianificazione territoriale, di uso del suolo o relativi all’esigenza di evitare contaminazioni con altri prodotti. Tutti elementi che non mettono in discussione le valutazioni di rischio effettuate all’Agenzia per la sicurezza alimentare.

Le lettere a firma del ministro Martina, preparate di concerto con i colleghi dei dicasteri Ambiente e Sanità, dovrebbero partire a giorni. Una volta ricevute, la Commissione europea aprirà un’apposita istruttoria.

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Resta comunque il fatto che il divieto nazionale non potrà comunque impedire la libera circolazione dei prodotti nel mercato europeo. E che le Regioni o associazioni agricole possono opporsi alla richiesta del ministero perché il divieto generalizzato potrebbe incidere sulle scelte di coltura delle imprese agricole che operano in zone territoriali con caratteristiche anche molto diverse tra loro, per cui le motivazioni addotte dallo Stato per imporre il divieto di semina potrebbero non valere per esse.