Il Test aderisce alla campagna di AIAB e FIRAB che hanno lanciato il manifesto Stop Glifosato chiedendo a governo, ministeri competenti e Parlamento di applicare il principio di precauzione in nome della tutela della salute pubblica, vietando definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l’uso di tutti i prodotti a base di glifosato.
La campagna è rivolta anche alle Regioni perché rimuovano il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e escludano da qualsiasi premio le aziende che ne fanno uso evitando di promuovere “l’uso sostenibile di prodotto cancerogeno”.
Il glifosato è il pesticida più utilizzato al mondo essendo presente in 750 formulati tra i quali il Glinet® e il Roundup®, ed è il diserbante collegato alle sementi geneticamente modificate (OGM) di mais, soia e cotone il cui Dna è stato manipolato da Monsanto per resistere al suo diserbante commercializzato, appunto, sotto il nome di Roundup® e definito dalla ditta produttrice “ecologico e biodegradabile”.
Ricordiamo che lo scorso marzo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) lo ha classificato come “probabile cancerogeno umano”. La stessa Agenzia ha dichiarato inoltre che “esistono prove convincenti in grado di dimostrarne la cancerogenicità negli animali di laboratorio….Il glifosato, inoltre, causa danno al DNA e ai cromosomi nelle cellule umane…”
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L’Italia è uno dei maggiori utilizzatori di questo pesticida, che è addirittura incluso nel Piano Agricolo Nazionale (PAN) per l’uso sostenibile dei fitofarmaci. Questo comporta che tutti i Piani regionali per lo Sviluppo Rurale, finanziando, nella misura 10, l’agricoltura integrata e conservativa, ne premieranno l’uso. In assenza di un intervento si creerà il paradosso che il PAN per l’uso sostenibile dei fitofarmaci, promuoverà l’uso sostenibile di un prodotto cancerogeno.
In Gran Bretagna tracce di glifosato sono state trovate nel pane di frumento integrale. “In Italia le rilevazioni sui quantitavi di pesticidi contenuti negli alimenti e nelle acque vengono condotte in pochissime regioni– avverte Vizioli, presidente di AIAB – e questa situazione è inaccettabile”.
Nel resto del mondo sono già partite da mesi azioni che applicano il principio di precauzione. Alcuni rivenditori in Svizzera e in Germania lo hanno rimosso, la Francia si è impegnata a farlo entro il 2018 e gli stati tedeschi chiedono un divieto su scala comunitaria. L’Autorità danese per l’ambiente e il lavoro lo ha dichiarato come cancerogeno mentre paesi come El Salvador e Sri Lanka lo hanno completamente vietato e in Colombia è stata vietata l’irrorazione aerea sulle colture di coca”.