Una filiera agroalimentare trasparente, capace di tutelare i consumatori, salvaguardare il made in Italy e offrire una soluzione contro lo sfruttamento dei lavoratori. È questo l’obiettivo della campagna #FilieraSporca promossa dall’associazione antimafie daSud, Terra! Onlus e Terrelibere.org che hanno presentato oggi a Roma il dossier “Gli invisibili dell’arancia e lo sfruttamento in agricoltura nell’anno di Expo”, il lavoro di inchiesta che supporta la campagna.
L’appello al ministro Martina
I promotori dell’iniziativa hanno rivolto un appello al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina affinché si apra una discussione aperta a cittadini e organizzazioni per arrivare a definire una filiera che includa tre punti cardine: l’obbligo di tracciabilità dei fornitori e trasparenza, rendendo pubblico e consultabile l’elenco dei fornitori delle aziende della filiera; l’obbligo di dotarsi di un’etichetta narrante che accompagni il consumatore verso una scelta consapevole sull’origine del prodotto ma anche sui singoli fornitori (quali fornitori, quanti passaggi lungo la filiera); l’obbligo di dotarsi di misure legislative che prevedano la responsabilità solidale delle aziende committenti.
“Chiediamo – spiega Fabio Ciconte, presidente di Terra! Onlus – una normativa sull’etichettatura trasparente anche per ragioni etiche e l’elenco pubblico dei fornitori, perché informazioni trasparenti permettono ai consumatori di scegliere prodotti liberi da sfruttumento”. Lorenzo Misuraca, attivista di daSud precisa: “Con questa campagna ci poniamo l’obiettivo di illuminare le zone d’ombra della filiera in modo che per le aziende e per la politica diventi più conveniente avviare percorsi virtuosi che chiudere gli occhi sulla schiavitù nelle campagne italiane”.
Le risposte di Coop e Coca-Cola
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Il dossier #FilieraSporca è stato curato dal giornalista Antonello Mangano e realizzato con il sostegno di Open Society Foundations, è un viaggio attraverso gli agrumeti di Catania, in Sicilia, e di Rosarno, in Calabria, che il mensile il Test nel numero di giugno ha ampiamente anticipato. Il lavoro di inchiesta fa luce sugli innumerevoli passaggi che – dai grandi commercianti locali alle squadre di raccolta, passando per le aziende di trasporto e le grandi multinazionali arrivando infine alla Grande distribuzione organizzata – determinano la filiera dell’arancia che spesso, mischiata con il succo di agrumi brasiliani, finisce nelle lattine dei marchi blasonati.
Il passaggio successivo è stato quello di chiedere ad alcuni grandi marchi produzione e della distribuzione chiarimenti quale tipo di azioni mettono in campo per contrastare il lavoro nero e la trasparenza di filiera. Coca-Cola ha risposto rendendo pubblica per la prima volta la lista dei propri fornitori italiani. Coop Italia ha descritto i meccanismi messi in atto a livello contrattuale per limitare il rischio di irregolarità tra i suoi sub-fornitori.
Intervista dal mensile il Test Chiara Faenza, responsabile Sostenibilità e innovazione valori di Coop Italia, ha spiegato: “Nel 2014 abbiamo ulteriormente rafforzato il nostro presidio sulla filiera delle Clementine in Calabria. A fronte del perdurare delle criticità sulla non corrispondenza dei salari dei lavoratori con quanto stabilito dal contratto, ci si è attivati nei confronti dei fornitori più critici, annunciando la sospensione dei contratti di fornitura, se non avessero prodotto ‘fatti nuovi decisivi’ risolutivi del problema. Cosa poi successa. Si è rilevato l’effettivo rispetto delle retribuzioni previste contrattualmente dai contratti provinciali di lavoro e il miglioramento della gestione per la sicurezza. Inoltre, le organizzazioni dei produttori hanno assunto direttamente i lavoratori addetti alla raccolta, eliminando le intermediazioni”.
I costi dello sfruttamento
Come ha avuto modo di ricostruire il Test, attraverso i dati della Coldiretti di Rosarno, ai sei-otto centesimi a chilo riconosciuti all’agricoltore per ogni chilo di agrumi, si passa ai 3 centesimi del costo del succo naturale nella confezione da un litro di aranciata (col 20% di succo naturale) che costa mediamente sullo scaffale di un supermercato 1,30 euro. Ma lungo la filiera, come mostra l’infografica qui accanto della campagna #FilieraSporca, sono tanti i passaggi e le possibili infiltrazioni di intermediari più o meno opachi, che condizionano economicamente ed eticamente il prodotto finito.
“Il cuore della filiera – conclude il curatore del rapporto Antonello Mangano – è un ceto di intermediari che accumula ricchezza, organizza le raccolte usando i caporali, determina il prezzo. Impoverisce i piccoli produttori e acquista i loro terreni. Causa la povertà dei migranti e nega un’accoglienza dignitosa”. Per questo serve una filiera più trasparente, un’etichetta più narrante e un nuovo impegno della politica per liberare dallo sfruttamento i prodotti agrolimentari.