La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il tentativo della Commissione Giustizia del Senato di inserire nel disegno di legge sul contrasto alle intimidazioni ai danni degli amministratori locali, una norma che nulla aveva a che vedere con l’argomento: l’aumento dal 30 al 50% della pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Un assurdo poco comprensibile (o fin troppo chiaro, osserva qualcuno) quello di punire con pene fino a 9 anni di carcere i giornalisti querelati da politici, magistrati o amministratori pubblici.
È così che si è creato il comitato organizzativo “InformAZIONE libera”. “Vogliamo agire e smettere di perdere tempo con le strategie a tavolino fatte di scambi di favori in cui alla fine a rimetterci sono i colleghi e i cittadini” dicono gli organizzatori che ora danno appuntamento a colleghi e cittadini sotto l’obelisco di Montecitorio alle 16 del 15 giugno.
Sotto accusa le minacce di querele per diffamazione a mezzo stampa, reato che prevede non solo la sanzione pecuniaria, ma anche la possibilità di una richiesta risarcitoria di qualsiasi importo e il carcere fino a 6 anni. E che non prevede la “prova liberatoria”, ovvero – spiegano da InformAzione libera – chi è accusato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona che si ritiene offesa.
“Per accusare di diffamazione a mezzo stampa basta che qualcuno si ritenga messo in cattiva luce da un articolo o da un servizio giornalistico e l’autore del pezzo si trova subito incastrato in un girone infernale che lo porta a incaricare un avvocato a proprie spese, a seguire poi il lunghissimo iter processuale che gli fa perdere tempo e denaro, a rischiare il posto di lavoro e il grande valore aggiunto della credibilità personale”.
L’obiettivo del Comitato? Sensibilizzare i cittadini e stimolare il Parlamento ad approvare la norma che prevede quanto meno la depenalizzazione di questo reato.