La proposta circola da tempo e ora, con i consumi crollati del 25% a causa della chiusura di bar, ristoranti e mense, torna d’attualità. “Noi possiamo garantire che il nostro latte fresco, dalla scadenza attuale di 6 giorni, può passare a 10”, ha spiegato stamane al Corriere della Sera Gianpiero Calzolari, amministratore delegato di Granarolo, l’azienda leader del settore in Italia. Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria legata all’epidemia di coronavirus, in Italia si sono “buttate” 15mila tonnellate di latte fresco. E la filiera, come è successo lo scorso anno, torna a chiedere di allungare la data di scadenza – dagli attuali 6 giorni dal trattamento termico a 10 – per ridurre gli sprechi.
“La chiusura del canale Horeca (hotel, ristoranti e ristorazione collettiva, ndr) e l’effetto dispensa dei consumatori che stanno preferendo i prodotti a lunga conservazione, hanno determinato un calo del 25% dei consumi di latte fresco”, ha spiegato Calzolari. “Noi abbiamo convertito il latte fresco in altri prodotti, dal latte uht, alle mozzarelle allo yoghurt. Noi siamo una grande realtà e abbiamo fronteggiato la criticità. Ma i piccoli soffrono”.
Ma per i consumatori ci possono essere dei vantaggi ad avere un latte fresco con una scadenza più lunga? A settembre scorso avevamo rivolto questa domanda al dottor Emiliano Feller, specialista in Scienza dell’alimentazione, dirigente della Centrale del latte di Vicenza e autore per il Salvagente della guida Le qualità del latte. E così ci aveva risposto: “I vantaggi? Davvero pochi, forse niente. Chi consuma il latte fresco è quel consumatore orientato verso un consumo rapido e per quantità significative. Nei punti vendita è presente comunque anche il latte fresco nella confezione da mezzo litro. Il consumatore farà delle scelte e senza parlare ci farà capire in base al prodotto che metterà nel suo carrello della spesa, quali sono i suoi orientamenti”.