Basta la 0,05% di canapa per giocare su un presunto effetto calmante? Davvero l’aggiunta di un grammo di estratto di semi di canapa per litro di bevanda può renderla oltre che dissetante, rifrescante e sensorialmente innovativa anche calmante per il contributo derivanti dai principi presenti nella canapa?
È quanto sembra di capire dalle confezioni di succo #staisereno di Pfanner, bevanda di più frutti con estratti di cannella e semi di canapa.
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Per la verità, semmai si dovesse davvero credere agli effetti di questa bevanda, dopo aver letto l’etichetta si dovrebbero attribuire agli zuccheri presenti, o allo stesso magnesio che per le quantità dichiarate può rappresentare oltre il 37% del fabbisogno quotidiano e che sappiamo essere essenziale per l’equilibrio del sistema nervoso a produrre una azione distensiva e calmante sul consumatore. Ma, si sa, fa più marketing puntare sulla canapa che sul magnesio (e ancor meno sugli zuccheri).
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L’esempio della Pfanner però ci dà modo di fare qualche passo nell’attuale regolamentazione che riguarda la Canapa per uso alimentare.
Le normative Comunitarie proibiscono oggi di utilizzare a scopo alimentare gli ingredienti potenzialmente “psicotropi” per intenderci quelli che contengono molecole che possono modificare il comportamento e le capacità psico-fisiche come è appunto dimostrato possa fare il THC.
Nel caso della canapa il recente Decreto del ministro della Salute del 15/1/2020, che completa una circolare ministeriale del 2009, definisce i limiti massimi di THC totale ammessi negli alimenti. Valori che sono fissati a 2,0 mg/kg per i semi di canapa e la farina ottenuta dai semi di canapa; 5,0 mg/kg per l’olio ottenuto dai semi di canapa; 2.0 mg/kg per gli integratori contenenti alimenti derivati della canapa. Queste quantità sono tollerate per le possibili involontarie contaminazioni dovute alle infiorescenze di canapa. Ora è consentito utilizzare semi, farina, olio e derivati per creare alimenti e bevande mentre sono sempre escluse le infiorescenze della canapa che sono il reale pericolo come fonte di THC. Il consiglio è di evitare di utilizzare in cucina in un “fai da te” molto rischioso le infiorescenze di canapa. Le quantità ora ammesse di THC sono nell’ordine di 5 mg per chilogrammo di olio di semi di canapa e in alcuni prodotti in vendita se ne utilizza, come estratto, solo lo 0,05% ovvero parliamo di 50 mg per 100 g di estratto di semi che si traducono al massimo in 0,002 mg per litro di bevanda che vedono la canapa inclusa come ingrediente. Dal punto di vista normativo, il prodotto è ampiamente sicuro e si pone ben al di sotto dei limiti previsti dalla legge, ciò ci rende tranquilli e soprattutto sicuri delle scelte fatte.
La vera domanda che possiamo farci è se queste quantità di estratto di canapa aggiunte sono fisiologicamente sufficienti a produrre un effetto positivo sul nostro stato di salute e benessere.
Le etichette che troviamo sulle confezioni a partire dal dicembre 2016 con l’applicazione del Reg. UE 1169/2011 sono una dichiarazione/promessa di cosa stiamo per comprare e poi usare a tavola.
Nel caso di una funzionalità evidente allora si applica il Reg. 1924/2006 che stabilisce i CLAIMS salutistici da potere utilizzare dopo studi scientifici a loro supporto.
Ahimè resta forse ancora una zona grigia rappresentata dalla “denominazione descrittiva” di un alimento che troviamo in etichetta.
Questa denominazione deve “barcamenarsi” tra gli aspetti più strettamente di marketing che spingono verso certe scelte e la necessità della maggiore trasparenza possibile verso il consumatore che deve scegliere senza essere indotto in errore. E allora ecco che si può giocare con l’hastag #Stai sereno (che per la verità ricordiamo tutti avesse un senso un po’ meno tranquillizzante quando diventò famoso per la frase rivolta da Renzi a Letta), senza troppi timori.