I Pfas interferiscono con il recettore della vitamina D, favorendo l’osteoporosi. E’ quanto emerge da uno studio italiano, pubblicato su ‘Endocrine’ e condotto su oltre 100 giovani. A mettere in luce l’azione dei composti perfluorati a livello scheletrico è una ricerca coordinata da Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia presso l’Università degli Studi di Padova, e Andrea Di Nisio, che da tempo studiano gli effetti di queste sostanze chimiche di sintesi, utilizzate per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, ma ormai sotto accusa in quanto pericoloso contaminante ambientale. In alcune zone del Veneto è stato infatti rilevato un importante inquinamento da Pfas nel territorio, soprattutto nelle falde acquifere delle province di Vicenza, Padova e Verona.
La vitamina D per l’80% si forma attraverso l’esposizione al sole ed è contraddittorio che in Paesi mediterranei come l’Italia e la Spagna si sia verificata una condizione generalizzata di ipovitaminosi D, commentano i ricercatori. Eppure, nonostante l’incremento nell’utilizzo di farmaci per la supplementazione di vitamina D, passati dal 63.mo posto nel 2012 al sesto nel 2018 nella classifica dei medicinali più acquistati in Italia, le patologie correlate a bassi livelli di vitamina D continuano ad aumentare.
I i ricercatori hanno valutato la densità dell’osso in 117 giovani maschi tra 18 e 21 anni esposti all’inquinamento da Pfas. “Confrontando i risultati con quelli ottenuti in un analogo gruppo di controllo di giovani non esposti a questo inquinante – spiega Foresta – è emerso che negli ragazzi esposti la densità minerale ossea era significativamente inferiore rispetto ai controlli. Questi risultati suggeriscono un’interferenza dei Pfas con lo sviluppo scheletrico, così come altri interferenti endocrini non considerati in questo studio. Nel 24% dei soggetti esposti si osservava infatti una maggior frequenza di osteopenia e osteoporosi, rispetto al 10% dei soggetti di controllo”.