Uno – dei tanti, troppi – effetti patologici delle agromafie è la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va dal campo allo scaffale. Una conseguenza pagata dal consumatore finale che però “strozza” anche l’altro anello debole della catena ovvero il coltivatore e che testimonia il livello di distorsioni e speculazioni economiche provocate dalle infiltrazioni malavitose nelle attività di intermediazione e trasporto. Del resto il business delle agromafie ha superato i 16 miliardi di euro, è esteso in tutti i settori alimentari con punte nella ristorazione, nel comparto delle carni, farine, pane e pasta, e per raggiungere questi obiettivi i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionale (dall’usura al racket fino alla macellazione abusiva).
L’identikit aggiornato di questo fenomeno criminale che attanaglia le filiere agroalimentari viene tracciato nel 4° Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agrolimentare presieduto dal procuratore Gian Carlo Caselli e presentato stamane a Roma.
Caselli: “Il cibo deve essere sano e giusto”
Caselli, che ha presieduto anche la commissione per la revisione del codice penale che prevede l’introduzione di nuovi reati agroaliementari, ha spiegato: “Il cibo de essere sano e giusto, ovvero la sfida è quella di coniugare la tutela del consumatore con un regolare funzionamento del meccanismo economico, in altre parole occorre garantire contemporaneamente la sicurezza alimentare e la lealtà commerciale“.
Proprio per rafforzare questa doppia tutela è necessario che il Parlamento approvi in tempi rapidi il ddl di riforma del codice penale scaturita dai lavori della Commissione Caselli: “L’Italia – ha aggiunto l’ex procuratore di Palermo – deve avere un diritto penale del quotidiano che accompagni il consumatore dal campo allo scaffale“. Ma le tutele non possono essere solo giudiziarie. “La sicurezza alimentare la si fa anche con l’informazione e le etichette narranti“, ha aggiunto Caselli.
Orlando: “Dove c’è mafia c’è contraffazione e sfruttamento”
Pronta la risposta del ministro della Giustizia Andrea Orlando: “Mi impegno a seguire i lavori parlamentari per la riforma del codice penale affinchè l’iter sia il più celere possibile”. Il Guardasigilli ha anche aggiunto: “Proporrò un ddl complessivo con il ministro Martina per rafforzare gli strumenti di contrasto in questo senso, intrecciandola alla normativa per il contrasto al caporalato, perchè laddove c’è mafia c’è contraffazione e anche sfruttamento del lavoro”. “L’Italia ha dimostrato di essere un paese in grado di mettere a punto sistemi di controllo di grande qualità”, ha precisato il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, “ma questo ancora non basta. Per questo motivo, servono azioni rivolte alla “revisione del codice dei reati, una politica agricola interna che tenga conto dei legami tra la filiera e il web, iniziative di carattere europeo che salvaguardino l’identità e la qualità dei prodotti e una maggiore partecipazione a tutto questo del mondo associazionistico”, ha continuato il ministro.
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La black list
Dal finto extravergine italiano alla mozzarella con cagliate straniere, dal pane al carbone vegetale alle conserve di pomodoro cinesi fino al pesce avariato sono alcune delle frodi smascherate nel tempo, ma “gli ottimi risultati dell’attività di contrasto – si legge nel Rapporto – confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare”.
In cima alla black list dei settori più colpiti dalla frodi salgono la ristorazione, la carne e farine, pane e pasta sulla base del valore dei sequestri effettuati nel 2015 dai carabinieri dei Nuclei anti sofisticazione (Nas). Il valore totale dei sequestri nel 2015 è stato di 436 milioni di euro con il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, ma settori sensibili sono, a seguire, quelli del vino, del latte e formaggi e dei grassi e oli come quello di oliva.
L’Indice di organizzazione criminale
Da Nord a Sud, le infiltrazioni criminali nel comparto agroalimentare vanno via via assumendo connotati sempre più marcati. L’intensità del fenomeno appare infatti certamente molto elevata nel Mezzogiorno (con regioni come Calabria, Campania e Sicilia ai massimi livelli dell’Indice di organizzazione criminale, lo Ioc elaborato da Eurispes) ma non fa eccezione il Centro Italia (Abruzzo e Umbria) e neppure il Nord dove si riscontra una consistente penetrazione in Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. Lo Ioc è stato calcolato sulla base di 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità, in una data provincia, del fenomeno dell’associazione criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati sia di fattori economici e sociali. L’Indice più alto è registrato a Ragusa (100), zona ad alta vocazione agricola con la produzione princiale del pomodoro Pachino, segue Reggio Calabria (99,4) e Napoli (78,9) mentre la prima città più a Nord con alti livelli di infiltrazioni è Perugia (55,9).