Johnson & Johnson dovrà pagare circa 5 miliardi di dollari (4,7 miliardi) a 22 donne che si sono ammalate di tumore alle ovaie causato – così hanno stabilito i giudici di St Louis – dall’uso prolungato del talco. La multinazionale ha già annunciato che farà ricorso: “La sentenza è il prodotto di un processo fondamentalmente ingiusto” afferma Carol Goodrich, portavoce di Johnson & Johnson. I prodotti della società non contengono asbesto e non causano cancro alle ovaie – aggiunge Goodrich – prevedendo che il verdetto sarà capovolto. “I diversi errori presenti in questo processo sono stati peggiori di quelli nei precedenti processi che sono poi stati capovolti”. Non è la prima volta che la società viene condannata per lo stesso motivo: ha subito in passato diversi processi sempre a causa del talco, con numerosi risarcimenti, anche milionari. Le 22 donne nel corso del processo hanno sostenuto che Johnson sapeva che il talco conteneva amianto ma lo ha tenuto nascosto sottovalutando i rischi alla salute.
Ma il talco, in Italia, è da evitare o no? Molti, dopo questa vicenda si pongono il problema.
Ecco cosa ci diceva il dermatologo Antonio Cristaudo, due anni fa, quando una delle prime sentenze americane aveva provocato un allarme simile.
Cancerogeno o no?
“Nella mia pratica clinica non ricorro spesso all’uso del talco. In dermatologia il suo utilizzo è limitato ad alcune dermatiti che si sviluppano nelle piegature di braccia e gambe ma allo stato attuale esistono molte valide alternative, come l’ossido di zinco”. Esordisce così Antonio Cristaudo, responsabile di Dermatologia allergologica professionale e ambientale, dell’Istituto dermatologico San Gallicano di Roma.
I dubbi sulla concerogenità
Ma anche dal suo punto di vista privilegiato, le certezze sono poche: “Le notizie che abbiamo sulla sicurezza del talco non sono univoche”, ci spiega. E chiarisce: “Se è vero che nel 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la Iarc di Lione, ha inserito la polvere di talco nella categoria 2B, quella degli agenti per i quali esiste la possibilità di cancerogenità per gli esseri umani ma non ci sono prove sufficienti in merito, è anche vero che gli studi di coorte sono giunti a conclusioni differenti. E poi bisogna sempre tenere presente che su un’epidermide sana, quindi priva di escoriazioni, la quantità di talco che eventualmente verrebbe assorbita è minima. Dovrebbe preoccuparci di più, invece, il rischio che la polvere possa essere inalata, con gravi conseguenze”.
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Gli studi di coorte di cui parla Cristaudo sono quelli nei quali i ricercatori individuano un gruppo di persone che fa uso di una determinata sostanza e lo segue per un certo periodo di tempo, anche per diversi anni, in modo da avere dei dati più precisi da confrontare con quelli di un altro gruppo che invece non la utilizza. Uno dei più completi studi di coorte in questo campo è stato pubblicato nel 2000 sul Journal of the National Cancer Institute: nelle sue conclusioni viene spiegato come “esista poco supporto per una qualsiasi associazione tra l’utilizzo perineale (sulle parti intime) di talco e il rischio complessivo di cancro alle ovaie”. Ad ogni modo, è stato rilevato in questo caso un incremento del rischio definito “modesto” per quanto riguarda i tumori sierosi delle ovaie, i più comuni.
“Limitarne l’impiego”
Se, almeno stando alle conoscenze attuali, il talco non sembra dunque essere cancerogeno, pare invece che il suo abuso e la conseguente inalazione possano però creare problemi alle vie respiratorie, soprattutto quelle piccole e delicate dei bambini. “Dunque mai come in questo caso il consiglio – conclude Cristaudo – è di limitare il ricorso al talco e, quando proprio non se ne riesce a fare a meno per le sue qualità dermatologiche e cosmetiche, è bene usarlo in piccole dosi cospargendolo prima sul palmo della mano e poi distribuendolo sulla pelle. In questo modo, si evita che il piccolo inali la polvere”.