Ogni anno spendiamo circa 3,5 miliardi di euro per acquistare acqua minerale e nel nostro paese si imbottigliano 14 miliardi di litri di acqua: dopo il Messico e la Thailandia, siamo i terzi più grandi consumatori di acqua in bottiglia al mondo, con un consumo pro-capite di circa 200 litri. Un record che pian piano sta soppiantando il consumo della potabile da rubinetto.
Le minerali, però, non sono tutte uguali: la differenza la fanno i componenti del terreno dove sgorga. Chi vuole avere contezza di cosa contiene quello che beve, deve leggere le etichette, ma la legge non obbliga le aziende a scrivere proprio tutto ma soltanto i componenti che si trovano in concentrazioni più elevate. Eppure la lista di sostanze in tracce presenti nell’acqua è davvero lunga. Qualche mese fa la trasmissione di Rai Tre Report ha analizzato 32 campioni di acqua minerale, tra le più vendute in Italia, presso il British Geological Survey, prestigioso istituto inglese. Siamo partiti da quell’inchiesta, firmata da Claudia Di Pasquale, e siamo andati oltre cercando di mettere a fuoco i buchi della normativa, la mancata trasparenza in etichetta e le ragioni per cui nel nostro paese si consumano volumi così elevati di acqua minerale.
Nel numero in edicola trovate le nostre valutazioni su 30 marchi (da Rocchetta a Ferrarelle, da Santa Croce a Sangemini, da San Benedetto a Norda, da Nestlé a Sant’Anna, dall’Acqua di Nepi alla Gaudianello solo per citarne alcune) partendo proprio dalle sostanze non dichiarate in etichetta e indichiamo anche quelle non adatte ai bambini.
Da “rimedio” a consumo di massa
Fino a qualche decennio fa, le acque minerali erano poche e molto spesso associate al consumo, quasi esclusivo, da parte di persone con problemi di salute. L’inversione di rotta si è avuta con l’emergenza negli anni 80 per inquinamento da atrazina in Pianura Padana. Furono chiusi i rubinetti di molte case e, anche se la causa della contaminazione negli acquedotti fu presto individuata nell’uso indiscriminato dei pesticidi in agricoltura, le campagne pubblicitarie delle aziende imbottigliatrici avevano già raggiunto milioni di italiani che oramai non si fidavano più dell’acqua di rubinetto.
Un rapporto di fiducia che non è stato ancora recuperato nonostante l’85% delle acque di rubinetto provenga da fonti sotterranee sicure, abbia un costo meno elevato di quella in bottiglia e provochi meno inquinamento. “I cittadini devono rendersi conto che l’acqua di rubinetto è controllata molto più frequentemente di quella in bottiglia, ha di regola un contenuto di sali adeguato per la salute, costa poco e non produce rifiuti”, non si stanca di ripetere Silvano Monarca, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Perugia.
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Due normative
Partiamo da un dato: non si può dire che le minerali siano più controllate di quelle di rubinetto. Spiega Claudia Di Pasquale: “La legislazione italiana è lo specchio di quella europea. Abbiamo due diverse normative, una per le acque destinate al consumo umano quotidiano e una per le acque minerali naturali, proprio perché ci sono due diverse direttive europee, che regolamentano la qualità e le caratteristiche rispettivamente dell’acqua minerale e dell’acqua destinata al consumo umano, per intenderci l’acqua del rubinetto”. Per essere dichiarata potabile, l’acqua di casa deve soddisfare 62 parametri di qualità chimica, fisica e batteriologica. Per la minerale, ne sono necessari molti di meno e, in alcuni casi, i limiti sono meno stringenti. Per l’alluminio, ad esempio, non sono previsti limiti per le minerali mentre ci sono per l’acqua di rubinetto. Per il manganese, invece, la concentrazione tollerata è più alta per le minerali rispetto a quelle di rubinetto. Differenze anche nei controlli. Le analisi per l’aggiornamento delle etichette delle acque minerali vengono effettuate ogni cinque anni mentre la frequenza minima delle analisi da effettuare sulla rete di distribuzione è annuale, e aumenta con l’aumentare della popolazione servita dall’acquedotto: i controlli di potabilità vengono seguiti tutti i giorni nelle grandi città o settimanalmente nei centri minori.
Più care
L’acqua in bottiglia non è certo poi più economica. Una minerale arriva a costare molto di più di quella del rubinetto. Le bottigliette d’acqua hanno un prezzo che varia da 0,20 a 0,75 centesimi al litro (al ristorante ancora di più) per un giro di affari miliardario mentre le aziende pagano concessioni pubbliche irrisorie per l’imbottigliamento. Non solo. Nella maggior parte dei casi, pagano rispetto alla superficie occupata e non in base ai volumi prelevati.
Il “peso” ambientale
Ma l’acqua in bottiglia è anche un “peso” per l’ambiente. Pensiamo alle tonnellate di plastica necessarie all’imbottigliamento, ai costi dello smaltimento e a quelli – molto più ingenti – legati ai volumi di Pet che non vengono riciclati.
Perché, allora, ci ostiniamo a consumare così tanta minerale? In questa storia la pubblicità ha un ruolo enorme. Slogan come “Aiuta a eliminare liquidi in eccesso e tossine…. Puliti dentro, belli fuori”, “E ti senti più in forma più leggera… l’acqua che elimina l’acqua”, “L’acqua che ti aiuta a sentirti giovane”, “Le acque della salute”, “L’acqua della bellezza” ci hanno convinto che non possiamo fare a meno di loro. Ma non sempre a ragione.