Filiere corte, mercatini locali Km 0 possono aiutarci a contenere l’impronta di carbonio di ciò che mangiamo e dunque aiutare l’ambiente? Non sempre, al contrario di quanto si pensa…
Mangiare “locale” (ovvero prodotti provenienti da meno di 250 km dal luogo di vendita, come quelli oramai sempre più comuni nei mercatini italiani come quelli di Campagna Amica) è spesso considerato ideale, sia per ridurre l’impronta ecologica sia per sostenere l’agricoltura locale. Tuttavia, mentre questo approccio ha effetti positivi sul piano economico e sociale, i benefici ambientali possono essere più limitati. È questa per lo meno la tesi, probabilmente originale ma supportata da numeri, che è uscita sul giornale francese dei consumatori 60 millions de consommateurs.
“Consumare prodotti locali non è un problema, ma non basta per ridurre l’impatto ecologico della nostra alimentazione,” sottolinea Benoît Granier, responsabile alimentazione del Réseau Action Climat (Ong impegnata dal 1996 contro i cambiamenti climatici), sul giornale transalpino. “Se guardiamo alle emissioni di gas serra, solo il 15-19% è legato al trasporto dei prodotti alimentari.” In altre parole, acquistare frutta e verdura coltivate nel campo del comune vicino non fa una grande differenza rispetto a prodotti simili provenienti da più lontano.
I piccoli trasporti possono essere più inquinanti
In alcuni casi, il trasporto di alimenti locali può generare più emissioni di gas serra rispetto a quello di merci provenienti da luoghi distanti. “Ad esempio, un camion che percorre 60 km ma è riempito solo a metà può inquinare di più rispetto a un trasporto marittimo di diverse tonnellate su lunghe distanze,” continua Granier.
La soluzione?
Per fare davvero la differenza, bisogna concentrarsi sul metodo di produzione agricola spiegano i francesi. Secondo i dati dell’Agenzia per la transizione ecologica (Ademe), il settore agricolo è responsabile del 67% dell’impronta di carbonio della nostra alimentazione. Le principali cause sono: emissioni di gas serra derivanti dalla digestione dei ruminanti, deforestazione, deiezioni animali e fertilizzanti di sintesi.
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Per esempio, acquistare fragole o pomodori coltivati con pesticidi sintetici, magari sotto serra, non ha nulla di ecologico, anche se prodotti localmente. Per consumare in modo locale e sostenibile, è fondamentale scegliere alimenti prodotti rispettando l’ambiente, come quelli biologici o coltivati con tecniche agroecologiche. “Un altro elemento chiave è ridurre il consumo di prodotti di origine animale, che hanno un forte impatto ambientale.”
A sostegno di queste ipotesi esistono diversi studi che confrontano l’impronta di carbonio dell’agricoltura biologica con quella convenzionale. In generale, l’agricoltura biologica tende a produrre meno emissioni di gas serra rispetto a quella convenzionale, grazie a pratiche che promuovono la fertilità del suolo e riducono l’uso di fertilizzanti chimici. Se si considera, tanto per fare un esempio, che la sola presenza di fertilizzanti di sintesi – attraverso la loro produzione e utilizzo – rappresentano circa il 20% delle emissioni di gas serra nell’agricoltura moderna, si capisce il concetto.
Non solo, uno studio del 2013 diretto da Andreas Gattinger del FiBL (Istituto di ricerca dell’agricoltura biologica), ha evidenziato come l’agricoltura biologica permetta di fissare nel terreno quantità di carbonio significativamente superiori rispetto all’agricoltura convenzionale, contribuendo così al contrasto del riscaldamento globale.