Vini toscani taroccati e spacciati per Sassicaia e Brunello venduti in Cina: la frode da 1 milione d’euro

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Vini industriali toscani con etichette graficamente simili ai pregiati Sassicaia e Brunello, venivano venduti in Cina come Loniciaya e Paanaamila. L’indagine della Procura di Pistoia

Vini industriali toscani con etichette graficamente simili ai pregiati Sassicaia e Brunello, venivano venduti in Cina come Loniciaya e Paanaamila. Il 50&50 di Avignonesi, invece, diventava 70&90. A riportare la notizia, la Repubblica, che sottolinea come si tratti di un affare da un milione di euro, e ricostruisce la vicenda, riportando alcune intercettazioni disposte dalla Procura di Pistoia. Come quella in cui, nel gennaio del Giancarlo Maffei, intermediario di Montemurlo, in provincia di Prato, chiede sulla chat di WeChat, l’applicazione di messaggistica con la quale gli imprenditori italiani comunicano con i rivenditori cinesi, di stampare nuove etichette dei vini toscani. Tra le persone coinvolte ci sarebbe anche Andrea Bonacchi, 54 anni, il titolare della Cantine Bonacchi di Quarrata (Pistoia). Proprio da Quarrata, secondo gli inquirenti, partivano i carichi di bottiglie senza l’etichetta frontale, per essere rivendute sul mercato asiatico come cloni dei più importanti supervini italiani.

L’indagine partita nel 2019

L’indagine era stata avviata nel 2019 dai Nas di Firenze, mentre l’inchiesta coordinata dal pm di Pistoia Claudio Curelli arriva ora a processo con sei imputati per frode in commercio, vendita di prodotti industriali con segni mendaci e contraffazione di indicazioni geografiche. Oltre a Bonacchi e Maffei, imputati anche Zhang Xiaoping, 50 anni detta ‘Giulia’, Wenyi Su, 45 anni rispettivamente direttrice e presidente della Oulide group srl, la società cinese, con sede a Campi Bisenzio (Fi), che acquistava il vino dalle cantine Bonacchi.

Il meccanismo usato

Repubblica spiega il meccanismo rodato: “Si imbottiglia vino rosso industriale, in percentuali ancora da definire Chianti classico delle annate precedenti, e lo spedisce in Cina solo con la retroetichetta: al netto delle frodi, come in questo caso, la legge lo consente. Una volta arrivate a destinazione, le bottiglie verranno marchiate con delle etichette molto simili a quelle dei vini originali, richiamando i paesaggi tratteggiati sulle illustrazioni dei prodotti autentici e storpiando un po’ i nomi. Da Sassicaia e Lupicaia a Loniciaya, da Masseto a Paanaamila, da 50&50 a 70&90″.

La foto da cui è partita l’indagine

Repubblica scrive: “C’è una immagine che più delle altre ha dato impulso all’inchiesta. Il 19 marzo 2019, all’hotel Shangri-La di Chengdu è in corso la fiera del vino “Thao show”, con centinaia di espositori da tutto il mondo. Maffei, l’intermediario, posa in foto accanto a un imprenditore cinese. I due stringono tra le mani una bottiglia di Paanaamila, fino Masseto e un Lonicyaia, finto Lupicaia”. Da lì, i due finiscono sotto la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine, che calcolano in complessivamente 54.600 il numero di bottiglie con sola retroetichetta in Cina per un controvalore di 172mila 74 euro. Ovviamentr, anche tramite il commercio on line, sulla piattaforma di e-commerce 1668.com, i prezzi lievitavano fino a sfiorare 1 milione di euro.